sabato 31 ottobre 2015

Cantagallo e il maresciallo Guerra nelle inchieste marine

Nelle inchieste marine il commissario Cantagallo svolge il ruolo di consulente investigativo per la “Benemerita” locale, i fatti da analizzare sono circoscritti a una zona limitata del paese e l’indagine del delitto si conclude nello spazio di tre giorni. Nell’inchiesta è aiutato da Bandino, il suo secondo del commissariato di Collitondi che trascorre anche lui con la famiglia il fine settimana a Castiglioni. L’azione di Cantagallo è disturbata dall’inetto maresciallo dei Carabinieri Remo Guerra oltre che dal superficiale medico del porto Rodolfo Lanzara. Alla fine Cantagallo smaschera il colpevole con un geniale colpo a sorpresa e si gode finalmente il meritato riposo in riva al mare. In queste inchieste tutto è chiaro per l’incapace e imbarazzante maresciallo dei carabinieri Remo Guerra: si tratta sempre di morte accidentali come ne accadono tante nei posti di mare. Guerra ne è sicuro perché l’ipotesi dell’incidente è sempre confermata “in modo inequivocabile” dal borioso e pressappochista dottor Lanzara. Allora, il maresciallo Guerra, che ha poco intuito ma molta memoria delle fandonie del Lanzara, vuole fugare ogni dubbio su quella morte accidentale. Soprattutto vuole pararsi le spalle con il Comando di Rosereto, più che accertare la verità. Guerra conosce le abitudini vacanziere del commissario. Decide di chiamarlo per fargli fare un “controllino” e capire cosa sia effettivamente accaduto. Cantagallo è un po’ scocciato di dover lavorare anche nel fine settimana, ma alla fine finisce sempre per accettare l’offerta della “Benemerita”. Il commissario non vuol fare un piacere a Guerra ma piuttosto al suo secondo che è un carabiniere in gamba: il maresciallo Tompetrini. Cantagallo sarà condotto sulla scena del delitto e intuirà subito che non si tratta di una morte accidentale. Perché le cose non stanno come sembrano.Il rpimo approccio del maresciallo Guerra con Cantagallo è sempre improntato dalla confusione e dal pressapochismo che poco piacciono al poliziotto collitondese. 
Quello che segue è stato estratto dal giallo "Segreto fra le righe" pubblicato da Cavinato Editore e lo trovate anche su Bookrepublic al link qui sotto


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Si  me vulisse bene ‘o veramente, nun me facisse 'ncujetá da 'a gente...
Nun me tirasse 'e pile  dint'  'e recchie, nun me mettisse 'o dito dint' all'uocchie…

La musichetta napoletana era un pessimo segnale per Cantagallo.

Nun me mettisse 'a neve dint' 'a sacca, nun me squagliasse 'ncapa 'a ceralacca…

Cantagallo aveva personalizzato la suoneria del suo telefonino per ogni persona conosciuta che lo chiamava, dal tipo di squillo capiva chi lo stava chiamando. La suoneria napoletana di Ciccio Formaggio lo avvertiva che la telefonata era del comandante della Stazione dei Carabinieri di Castiglioni Marina.
-Tutto quadrava- ripensava il commissario. -Il vento era calato all’improvviso e quell’aria strana come di una tempesta in arrivo...-
Il maresciallo Remo Guerra era la burrasca "carabiniera" di quella giornata.
Cantagallo pigiò il pulsante verde del telefonino e accettò la telefonata: non poteva fare altrimenti, non poteva negare la sua presenza sulla spiaggia. Fra poco sarebbe stato in contatto visivo con il carabiniere.
«Maresciallo Guerra, buongiorno» disse Cantagallo in modo asciutto.
Dall’altra parte del telefonino ci fu una pausa impercettibile, era sempre così con le telefonate del maresciallo. Poi, piano piano e affannata dalla camminata veloce, si cominciò a sentire la voce timorosa del carabiniere.
«Buongiorno, commissario. Sono il maresciallo Guerra della locale Stazione dei Carabinieri di Castiglioni Marina. La disturbo?»
«Dica pure» rispose Cantagallo. Si fermò, sollevò gli occhi al cielo e fece una smorfia con la bocca. «Anzi, visto che tra poco mi raggiunge, metto giù e l’aspetto qui. Va bene?»
«Va bene, arrivo subito. Sa, andiamo di corsa e dobbiamo fare in fretta…»
«Un po’ di movimento le farà bene, maresciallo. E poi di cosa si preoccupa? Le ho detto che sono qui ad aspettarla. Non scappo mica!»
«Il fatto è, commissario, che bisogna pulire anche gli scogli di San Bartolomeo che si sono sporcati di bianco.»
«Ma che dice?! Pulire gli scogli?! Ma cosa è successo di preciso?»
«Le dico tutto fra poco. Tutto questo parlare e camminare veloce sulla sabbia mi ha fatto venire il male di pancia. Fra pochi minuti la raggiungo e le spiego tutto. Arrivederci» e detto questo, interruppe la comunicazione.
La moglie di Cantagallo aveva capito che le
loro ferie sarebbero state rovinate da quel guastafeste di carabiniere grasso e antipatico.
«Angelo, era il maresciallo Guerra?»
«Purtroppo sì, Iolanda. Mi ha parlato degli scogli che devono essere puliti perché sono sporchi di bianco, ma non ho capito nulla.»
«Gli scogli sporchi di bianco? Boh! Ma, allora, non si tratta di un morto?»
«Non lo so. Speriamo di no! Ma col maresciallo Guerra non c’è da meravigliarsi di nulla. Speriamo bene.»
«Speriamo» sospirò Iolanda e poi continuò. «Le cose andranno per le lunghe, Angelo. Io ritorno indietro da Luigi. Ci vediamo dopo. Se pensi di fare tardi, avvertimi col telefonino. Ciao. A dopo.»
«A dopo.»
Nel giro di cinque minuti il gruppo di persone, con il maresciallo Guerra in testa, era già arrivato dove era Cantagallo.
Il maresciallo grondava sudore da tutte le parti. La sua camicia azzurra d’ordinanza si ornava di ampie gore bagnate che circondavano le ascelle, il collo e la pancia nel punto in cui il cinturone passava sopra la camicia. Guerra ansimava per lo sforzo della camminata a ritmo veloce e per il caldo patito dentro l’uniforme. Si tolse il cappello e se lo infilò sotto il braccio destro: la fiamma della “Benemerita” avrebbe passato un brutto quarto d’ora fra gli afrori ascellari del carabiniere. Poi si era bagnato e insabbiato pure le scarpe e la parte bassa dei pantaloni, per quel camminare veloce vicino al bagnasciuga.
«Buongiorno di nuovo, commissario. Mi scusi, ma sono stravolto. Se permette mi metto a sedere un attimo e poi le racconto tutto.»
«Buongiorno a lei, maresciallo. Faccia pure, non mi formalizzo. Si riposi, così dopo mi spiega tutto per filo e per segno.»
Il maresciallo Guerra crollò seduto sulla sabbia: era esausto. Riprese il cappello da sotto l’ascella e incominciò ad agitarselo intorno al viso come se dovesse riprendere i sensi. Poi smise. Abbandonò le braccia sulla sabbia e chiuse gli occhi.
Sembrava un balenottero che aveva perso l’orientamento e che si era spiaggiato sulla riva di Castiglioni Marina. Se non fosse stato riconoscibile per la divisa nera d’ordinanza a strisce rosse dei carabinieri sarebbe stato scambiato per un cetaceo in difficoltà dai volontari della Lega Ambiente che l’avrebbero subito imbracato per riportarlo in mare aperto. Al largo della costa di Castiglioni avrebbe ritrovato la giusta corrente per continuare il suo viaggio e gustosi branchi di alici di cui tutti i balenotteri sono ghiotti.
Passati pochi minuti il maresciallo Guerra si rialzò a fatica, si spolverò le maniche e i calzoni dalla sabbia, e si rimise il cappello in testa per darsi un tono più ufficiale.
Cantagallo era spazientito e voleva sapere cosa fosse successo.
«Maresciallo, ma è una cosa urgente?»
«Urgente urgente, no. Quando mai, commissario!»
Guerra rispondeva sempre così. Cantagallo lo conosceva benissimo e purtroppo sapeva che c’erano guai in vista.
«Si può rimandare?»
«Rimandare rimandare, nemmeno. C’è scappato il morto! Però…»
«Però? Però che cosa, maresciallo?!»

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domenica 25 ottobre 2015

Il mercante e il poliziotto: Abdullah Hassan e Cantagallo

Nel giallo "Un vecchio tappeto persiano", il commissario Cantagallo incontra un personaggio particolare: il mercante iraniano di tappeti, Abdullah Hassan. Uomo carismatico, di babbo iraniano e mamma collitondese, che la piccola comunità iraniana di Collitondi aveva scelto come suo rappresentante per risolvere situazioni delicate e stabilire regole di buon vicinato con i paesani collitondesi. Personaggio molto riservato e cordiale al tempo stesso, che in un paio di occasioni era entrato in contatto con Cantagallo per testimoniare a favore di suoi connazionali che si erano trovati coinvolti loro malgrado in una vicenda in cui non c'entravano niente. Così i due, il mercante e il poliziotto, si erano conosciuti e apprezzati reciprocamente. Con le loro frequentazioni avevano avuto modo di appurare che tutti e due credevano nelle regole di una vita sana, tradizionale, nel rispetto reciproco, nell'educazione e nell'amore per la propria famiglia, senza mai perdere di vista il lavoro, come unica e vera virtù che nobilita l'uomo. L'incontro con Abdullah è necessario a Cantagallo perché vuole conoscere tutto ciò che c'è da sapere sui tappeti, in quanto un tappeto lasciato sul luogo del delitto non spiega la dinamica del furto e le ragioni di chi ha voluto che fossero rubati tanti oggetti di valore. Perché un bellissimo tappeto come quello, era stato rubato ma poi era stato lasciato nel furgone utilizzato dai ladri per fare il furto? Un bel dubbio per Cantagallo ma il mercante ha una bella risposta da fornirgli e il commissario vedrà aprirsi davanti a sè una nuova pista d'indagine per cercare il misterioso e inafferrabile colpevole del delitto.
Quello che segue è stato estratto dal giallo "Un vecchio tappeto persiano" pubblicato da Cavinato Editore e lo trovate anche su Bookrepublic al link qui sotto
https://www.bookrepublic.it/book/9788899121303-un-vecchio-tappeto-persiano/


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Cantagallo sperava di ottenere qualche dritta dal commerciante di tappeti che già in altre occasioni gli era stato utile. Abdullah era nato e cresciuto a Collitondi, da babbo iraniano e mamma collitondese. Aveva il negozio vicinissimo al centro del paese, in una stradina parallela alla via Garibaldi. Amava definirsi “persiano” e con lo stesso stile orientale aveva arredato il negozio per renderlo particolare e accogliente. Ogni volta che entrava in quel negozio, gli sembrava di entrare in una bottega di un mercante persiano, direttamente in Iran. Abdullah aveva più o meno l’età del commissario, ma la sua corporatura era più robusta, con la carnagione olivastra dai caratteri somatici tipicamente iraniani e i capelli a spazzola bianchissimi. Una corta barba brizzolata gli incorniciava il viso, mentre un’ampia tunica bianca con pantaloni completava il personaggio. Con il passare degli anni, era diventato il riferimento della piccola comunità iraniana di Collitondi e il canale informativo preferenziale del commissario per quello che succedeva all’interno di quella comunità. Era un uomo carismatico dalla voce calda, suadente, molto particolare, con un tipico accento orientale. Quando il commissario parlava con lui sembrava che si creasse intorno a loro un’atmosfera misteriosa quasi magica. 
Nel giro di un quarto d’ora Cantagallo era lì.
La porta del negozio era sempre aperta in segno d’ospitalità, come diceva Abdullah. Non c’era nessun cliente. All’interno il “persiano” era seduto davanti alla sua inseparabile macchina per cucire. Osservava attentamente il bordo di un piccolo tappeto.
«Buonasera, Abdullah.»
«Angelo Cantagallo, buonasera» disse lui sorridendo e sollevando lo sguardo. «È tanto tempo che non vieni a fare una visita al tuo buon amico persiano. Entra, sei sempre il benvenuto nel mio modesto negozio» e gli fece segno di mettersi a sedere su una piccola sedia che aveva accanto a lui.
«Sono qui per servizio. Posso farti alcune domande?»
«Che domande vuoi fare al tuo amico persiano? Io sono un uomo perbene e un buon padre di famiglia. Non ho la coscienza sporca o la fedina penale sporca, come dici tu.»
«No, si tratta di certe informazioni su alcuni tappeti che sono stati rubati ieri notte in paese. Sono tappeti di valore, ma ce n’è uno di cui non so nulla. Ho già parlato con gli antiquari Pescatori e Cappelletti, ma mi hanno saputo dire poco. Allora ho pensato di venire da te per sapere qualcosa di più. Sei una persona che mi dà sempre dei consigli utili.»
«È sempre un piacere parlare con un amico. Anche tu dai a me sempre dei buoni consigli. Ricorda: i messaggi ricevuti dagli amici sono sempre di gran sostegno e guida nel lungo cammino della nostra vita. Dimmi cosa vuoi sapere.»
«Si tratta dei tappeti che sono segnati in questa lista. Poi vorrei sapere se sai qualcosa di questo in particolare di cui posso farti vedere solo la fotografia. Prima, però, parlami del significato del “tappeto”.»
Abdullah prese la lista, la foto del tappeto del maragià e incominciò a guardarle attentamente. Si soffermò molto nell’osservare il tappeto della foto. Poi andò a cercare un catalogo di tappeti, lo sfogliò, lo lesse e dopo avere annotato certe cose su un foglio bianco, si rimise a sedere pronto a rispondere a Cantagallo.
«Il motivo della tua visita è importante e delicato, come è molto delicato e importante l’argomento di cui mi chiedi di parlare.  Devi sapere che il tappeto ha un posto fondamentale nel mondo islamico. Il suo compito è impedire il contatto tra il suolo impuro e il fedele in preghiera.»
Abdullah raccontò che al tappeto non era mai stato riconosciuto il suo giusto valore, almeno in occidente. Qui era stato sempre considerato un ornamento della casa. Addirittura, molti confondevano il tappeto consumato con il tappeto antico. Molte persone credevano di avere comprato un tappeto antico solo perché era sciupato oppure perché era vecchio, e questo non era vero. Un brutto tappeto era un tappeto senz’anima e sarebbe rimasto così anche dopo cinquanta o cento anni, non sarebbe mai diventato un tappeto antico. Sarebbe rimasto solo un tappeto vecchio.
Il commissario era interessato all’argomento e giustificava il motivo della sua curiosità. Spiegava che in ogni indagine voleva capire il valore di certi indizi per stabilire se potevano essere importanti per scoprire la soluzione di un crimine. Per lui era di fondamentale importanza conoscere certi oggetti per interpretare il loro messaggio interiore e comprendere il loro vero significato. Ogni oggetto comunicava un messaggio che poteva essere utile per scoprire le tracce del colpevole e bastava solo interpretare correttamente questo messaggio per acciuffare l’autore di un delitto. Quello era il metodo che lui seguiva durante le indagini con la collaborazione dei suoi uomini. Abdullah lo ascoltava con attenzione. Comprendeva il ragionamento di Cantagallo e gli era chiaro il concetto.
«Ho capito quello che vuoi dire. Vuoi capire la natura più intima di un oggetto. Non solo nella sua sostanza ma anche nella sua essenza. Se non ho capito male, vuoi comprendere quello che un oggetto può comunicare.»
«Proprio così. Per me è molto meglio ascoltare e parlare, piuttosto che stare in silenzio. Se non sbaglio, c’è un antico detto orientale che dice qualcosa di simile.»
«Sì, è vero. Quel detto dice: “Non parlare se quello che devi dire non è meglio del silenzio”.»
«Allora parlami dei tappeti del furto. Parla lentamente, così posso prendere appunti.»
Cantagallo prese il taccuino e la penna portamine a punta fine, 0,7 per la precisione.
Abdullah alzò l’indice della mano destra e l’avvertì.
«Prima però ti devo parlare della “Regola d’Oro”.»
Un buon mercante doveva sempre ricordare tale regola. Alcuni
commercianti di tappeti occidentali le avevano trasformato il nome e l’avevano chiamata la “Regola delle quattro P”: Pelo, lo stato di conservazione dei peli del tessuto, Perimetro, il tappeto doveva avere le cimose e le testate originali, Policromia, tutti i colori dovevano essere naturali e Prezzo, che doveva essere giusto per il tipo di tappeto. Secondo alcuni mercanti orientali, e anche secondo Abdullah, a queste quattro P si doveva aggiungere una quinta P, la Poesia che era la più importante ed era la vera essenza spirituale.
«La Poesia è l’anima del tappeto, è qualcosa di impalpabile che fa scattare il meccanismo segreto per cui il tappeto “parla” a chi lo sa guardare, tenta di sedurlo e lo fa innamorare.»
-Senti, senti. Anche il tappeto “parla” a chi lo sa guardare e addirittura lo può fare innamorare! Non solo l’unico a essere convinto che gli oggetti sanno parlare a chi sa ascoltarli!- pensò Cantagallo soddisfatto.
Abdullah tornò a parlare dei tappeti della lista. Indicò che i Kashan erano dei tappeti di eccellente qualità, i Serapi erano di minore qualità e i Tabriz erano prodotti proprio a Tabriz, “città antica e incantata”. Poi parlò del tappeto della foto e fece notare che quello era solo un buon tappeto e nulla più. Non era dello stesso tipo di quelli della lista. Era un Isfahan Najafabad, Persia extra fine figurato. Non era un tappeto di grande valore. Il suo prezzo da nuovo poteva essere di mille euro ma anche meno. Era solo un vecchio tappeto persiano. Non sapeva altro. Cantagallo non volle approfittare oltre e prese la via dell’uscita.
 «Arrivederci, Abdullah. Grazie.»
«Arrivederci, Angelo. O come diciamo noi: “Be Omide Didar”. E poi ricordati anche di questo antico detto arabo: “Allunga il passo secondo la grandezza del tuo tappeto”.»
«Ne farò tesoro. “Be Omide Didar”.»

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sabato 17 ottobre 2015

Il commissario CANTAGALLO: uno di noi

Il poliziotto indaga in un paesino toscano e il suo stare nelle strade fra la gente lo porta a contatto con tante persone. Alcune vedono in lui la persona in grado di ascoltare i propri problemi o anche solo di stare a sentire quello che hanno da dire perché non hanno altri a cui confidare certe cose. Cantagallo è così, un uomo di paese, un poliziotto di periferia che sta bene con le persone perché ne apprezza i lati positivi senza critarne quelli negativi che, come in ognuno di noi e anche in lui stesso, fanno parte dell'altra faccia della medaglia del nostro modo di essere. Non eccede mai e si mantiene "basso" per evitare di volare alto dove è più facile cadere giù. Rimane così in famiglia e fra la gente del paese che lo considera giorno dopo giorno, oltre che un poliziotto, uno di loro. Cantagallo è uno di noi e proprio per questo voglio farvi leggere un brano del penultimo giallo pubblicato. Spero via sia gradito e che vi piaccia, come hanno detto le persone che lo hanno letto.
  
Quello che segue è stato estratto dal giallo "Lo sguardo nel buio" pubblicato da Cavinato Editore e lo trovate anche su Bookrepublic al link qui sotto
https://www.bookrepublic.it/book/9788899121686-lo-sguardo-nel-buio/?tl=1



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La voce del signor Ceccarelli che prima era forte e decisa, si era fatta debole e tremante. Fece una piccola pausa, per trovare il coraggio di continuare a parlare. Cantagallo capiva che quel cieco voleva dirgli qualcosa d’importante, sia per l’indagine sia per se stesso. Forse il cieco voleva confidare a quel poliziotto un proprio pensiero che teneva custodito da molto tempo. Quell’uomo cieco sentiva che quel semplice poliziotto di paese era un brav’uomo. Un commissario capace di ascoltare la gente, ma anche in grado di osservare e di comprendere le persone che aveva di fronte a sé.
«Dica pure, signor Ceccarelli. Sono a sua disposizione».
«Lei, commissario, è una brava persona. L’ho capito subito
quando l’ho sentita parlare. Persone come lei, ce ne sono poche. Volevo trovare una persona come lei per raccontare questa cosa che tengo dentro da tanto tempo. Io non ero cieco, lo sono diventato. Io vedevo e ora non vedo più. E volevo dire alle altre persone, che vedono e che non sono cieche come me, che anche da ciechi non si sta poi tanto male. A questo mondo ci sono malattie molto più brutte, che ti tolgono l’uso delle gambe, delle braccia, del cervello, che ti rubano gli affetti, che ti rubano la vita e non la vista. Ci tenevo a dirlo perché in questo mondo di oggi, dove tanti valori della società e della famiglia stanno scomparendo, occorre dire ai giovani le cose come stanno. Occorre fare capire che un uomo cieco come me, se ha il sostegno della propria famiglia e di amici veri, non ha niente da temere e niente gli può fare paura. Non si deve aver paura di essere ciechi. La mia famiglia mi ha sempre dato una mano e gli amici veri non mi hanno mai abbandonato, non mi hanno mai perso di vista. Uno di questi era Beppe, come lo chiamavo io, il povero Giuseppe Mecacci, che fin dal primo momento dell’incidente agli occhi mi era stato accanto. Beppe mi era stato sempre vicino, dicendomi di non disperare. Mi faceva forza e mi diceva di non mollare, soprattutto per mia moglie e i miei figli. Lui, proprio lui, che cieco fin dalla nascita non aveva mai potuto vedere la luce del sole, il colore del cielo, i riflessi del mare e nemmeno il colore della notte. Sì, proprio
così commissario Cantagallo, la notte ha un proprio colore. Io le dico questo perché prima vedevo e dopo ho notato la differenza che c’è fra il buio totale che accompagna un cieco nella sua vita e l’oscurità che avvolge un luogo a notte fonda. Le sembrerà strano, commissario, ma il buio che vede un cieco è diverso dall’oscurità che una persona normale può osservare nella notte. Il mio amico mi diceva che sarei riuscito a vedere oltre quel buio fitto che mi avrebbe circondato per il resto della mia vita, che avrei visto dove altri, non ciechi come me, non avrebbero mai potuto o voluto vedere. E così è stato. Questa è la mia storia, commissario, e questo è quello che volevo dirle prima di parlarle di quella sera maledetta».

domenica 11 ottobre 2015

Cantagallo: il commissario di una Valdelsa inventata ma non troppo


I gialli del commissario Cantagallo sono completamente inventati ma per certe vicende attingono dalla realtà modificando gli effetti di fatti accaduti, cambiando i risvolti di circostanze oscure oppure inventando degli avvenimenti di sana pianta, solo per il gusto di divertirsi a cambiare il corso delle cose. Tutto questo comunque attinge a certi fatti che fanno parte della realtà e che allo stesso tempo, per dovere di narrazione di ogni bravo giallista, sono il frutto di pura invenzione. Come scrivo nei miei gialli,  la storia raccontata riflette certe situazioni del vivere quotidiano e da queste prende lo spunto per tessere una vicenda puramente inventata di sana pianta. Così come, i nomi, i personaggi, le date e i luoghi che sono citati nel giallo sono pure e sacrosante invenzioni. Per puro caso, chi si fosse riconosciuto in certe descrizioni del racconto, sappia che così non è ma è solo grazie alla mia fervida fantasia che si è potuto riconoscere, ma non l’ho fatto apposta. Questo perché, come ho già detto prima, certi fatti attingono dalla realtà con lo scopo di conferire maggiore veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia è da considerarsi uno scherzo del destino e deve essere attribuito soltanto alla casualità. Proprio per questo, chiunque cerchi un po’ di vana gloria pensando di essere stato tratteggiato anche lontanamente in questo racconto deve sapere che si sbaglia di grosso. Chi invece affermasse con certezza di essere proprio lui la persona descritta nel giallo deve riconoscere che sono stato proprio bravo nell’immaginarmelo a quel modo. Per tutti gli altri che non si fossero accorti di nulla, pace e bene. E continuate a leggere i gialli del commissario Cantagallo. 
Quello che segue è sempre stato estratto dal giallo "Un vecchio tappeto persiano" pubblicato da Cavinato Editore e lo potete trovare anche su Mondadori al link qui sotto
 http://www.mondadoristore.it/Un-vecchio-tappeto-persiano-Fabio-Marazzoli/eai978889912130/ 


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    Cantagallo arrivò al commissariato prima del solito. A casa non aveva fatto colazione e aveva fretta d’informare i colleghi. Voleva mettere insieme le ultime informazioni ricevute per illustrarle nella consueta riunione di lavoro. Posteggiò l’auto nel parcheggio della piazza Martiri Val Marna e, visto che era presto, decise di fare colazione dal suo amico Santonorè del bar Pierina.
A quell’ora della mattina la strada centrale del paese era poco frequentata. In lontananza, la piccola macchina della nettezza urbana aveva fatto il suo dovere e si allontanava dalla via Garibaldi, svoltando a sinistra nella piazza Risorgimento. Senza persone e pulita da poco, quella via era esaltata in tutta la sua bellezza. La pavimentazione stradale era stata rifatta da qualche anno. Al posto dell’asfalto anonimo erano state messe delle lastre picchiettate di pietra serena disposte a lisca di pesce. Il grigio naturale di quelle pietre era riuscito a caratterizzare la strada e a renderle onore, vista la sua importanza storica. Probabilmente molti in paese non lo sapevano, ma la via Garibaldi, detta dai collitondesi Via Maestra o Via di Mezzo, in antichità era stata la famosa “Via Francigena”, la strada che faceva parte di quel grande percorso che da Canterbury portava a Roma. Un itinerario storico dell’epoca medioevale, una via maestra appunto, percorsa in passato da migliaia di pellegrini di tutta Europa in viaggio per Roma. La Francigena poi dal centro del paese si continuava nella strada che saliva verso la Basilica di San Luigi.
Mentre pensava a questo, era già arrivato al bar Pierina. Il bar del mitico Aurelio, detto Santonorè per la sua eccellente bravura nel fare le torte, si trovava in fondo alla via Garibaldi.
Santonorè aveva già sfornato fragranti briosce all’albicocca e invitanti sfogliatelle alla crema.
«Aurelio, buongiorno. Due briosce con la marmellata e un cappuccino, grazie.»
«Commissario Cantagallo, buongiorno a lei. Se ha la pazienza di aspettare le faccio assaggiare una specialità.»
«Grazie, non importa. Vado di fretta.»