domenica 29 novembre 2015

GIALLI IN UNA VALDELSA INVENTATA - Il commissario Cantagallo e il cieco del Centro Anziani: Faro Ceccarelli

Il commissario Cantagallo nel giallo "Lo sguardo nel buio" entra in contatto con il signor Ceccarelli, un cieco del Centro Anziani del paese che sarà molto utile al commissario per scoprire l'omicida del delitto di cui sta indagando. 
Ma c'è una cosa che dovete sapere.  
Il giallo è dedicato a una persona particolare, un uomo diventato cieco per una vicenda di malasanità. L’uomo, con l’ausilio di una speciale macchina per non vedenti, lesse il mio primo romanzo giallo "Dentro un vicolo cieco" (Lalli, 2007) e mi telefonò per dirmi che in quelle pagine “aveva rivisto il suo paese”. In quell’occasione mi raccontò la vicenda legata alla sua nuova condizione di persona non vedente. Le parole di quell’uomo mi sono rimaste impresse nella mente e alcune di quelle frasi sono state inserite nel giallo "Lo sguardo nel buio" per fare una riflessione sull’argomento. 
Quello che segue è stato estratto dal giallo "Lo sguardo nel buio" pubblicato da Cristian Cavinato della Cavinato Editore International e lo trovate anche su IBS al link qui sotto
http://www.ibs.it/ebook/Marazzoli-Fabio/Lo-sguardo-nel/9788899121686.html


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    Mentre stava per prendere sulla sinistra la strada in salita che lo avrebbe riportato verso il centro del paese, la voce di un uomo lo bloccò.

    «Commissario! Commissario Cantagallo! Aspetti un attimo. Le devo parlare».
    Cantagallo si voltò e vide che lo stava chiamando l’uomo cieco che prima sedeva nella seconda fila. Tornò indietro sui propri passi e gli si avvicinò.
    Il cieco lo stava aspettando in piedi poco fuori del bar, con la mano destra si teneva al bastone bianco e con l’altra si appoggiava al muro esterno della struttura.
    «Buongiorno» disse Cantagallo.
    «Buongiorno, commissario» rispose l’altro.
    L’uomo aveva circa settanta anni ed era alto un po’ più del commissario. Fisico asciutto, non robusto, con i capelli bianchi non troppo lunghi pettinati un po’ all’indietro, indossava un giubbotto grigio da mezza stagione. Era un uomo distinto e curato nell’aspetto. Un paio di semplici occhiali neri e un bastone bianco da cieco facevano capire la situazione di quell’uomo anziano.
    «Le devo parlare, commissario. Mi chiamo Faro, Faro Ceccarelli e non sono nato cieco, lo sono diventato per un fatto di malasanità. Alcuni anni fa, l’errore di un dottorino durante l’intervento agli occhi per una semplice cataratta provocò una terribile infezione che mi ha reso cieco per tutta la vita. “Stia tranquillo, signor Ceccarelli, per l’operazione alla cataratta. Oggi è diventata un’operazione ambulatoriale”, così mi aveva detto quel dottorino che mi doveva operare. Quando è successo l’incidente agli occhi ero da poco in pensione. Ero un impiegato di una filiale della banca MPR, la banca della Maremma e del Piccolo Risparmio di Castronuovo. Aspettavo la pensione come il momento per dedicarmi completamente alla famiglia. Poi, è successo quello che è successo e la mia vita è cambiata».
    «La capisco, signor Ceccarelli, e mi dispiace, ma le indagini sulla malasanità non sono eseguite dal mio commissariato. Dovrebbe rivolgersi…».
    «Lo so, lo so, commissario» fece in modo garbato il signor Ceccarelli, interrompendolo. «E mi scusi se l’ho interrotta. Purtroppo, sono tutte cose che conosco. Sono passati ormai tanti anni da quando è accaduto e ancora non è stato risolto nulla. La Giustizia, in questi casi, è lenta a fare il suo corso e sono sempre in attesa del primo processo. Ma non volevo parlarle di questo. Le volevo fare un discorso e poi dirle il vero motivo per cui le ho chiesto di fermarsi».
    La voce del signor Ceccarelli che prima era forte e decisa, si era fatta debole e tremante. Fece una piccola pausa, per trovare il coraggio di continuare a parlare. Cantagallo capiva che quel cieco voleva dirgli qualcosa d’importante, sia per l’indagine sia per se stesso. Forse il cieco voleva confidare a quel poliziotto un proprio pensiero che teneva custodito da molto tempo. Quell’uomo cieco sentiva che quel semplice poliziotto di paese era un brav’uomo. Un commissario capace di ascoltare la gente, ma anche in grado di osservare e di comprendere le persone che aveva di fronte a sé.
    «Dica pure, signor Ceccarelli. Sono a sua disposizione».
    «Lei, commissario, è una brava persona. L’ho capito subito quando l’ho sentita parlare. Persone come lei, ce ne sono poche. Volevo trovare una persona come lei per raccontare questa cosa che tengo dentro da tanto tempo. Io non ero cieco, lo sono diventato. Io vedevo e ora non vedo più. E volevo dire alle altre persone, che vedono e che non sono cieche come me, che anche da ciechi non si sta poi tanto male. A questo mondo ci sono malattie molto più brutte, che ti tolgono l’uso delle gambe, delle braccia, del cervello, che ti rubano gli affetti, che ti rubano la vita e non la vista. Ci tenevo a dirlo perché in questo mondo di oggi, dove tanti valori della società e della famiglia stanno scomparendo, occorre dire ai giovani le cose come stanno. Occorre fare capire che un uomo cieco come me, se ha il sostegno della propria famiglia e di amici veri, non ha niente da temere e niente gli può fare paura. Non si deve aver paura di essere ciechi. La mia famiglia mi ha sempre dato una mano e gli amici veri non mi hanno mai abbandonato, non mi hanno mai perso di vista. Uno di questi era Beppe, come lo chiamavo io, il povero Giuseppe Mecacci, che fin dal primo momento dell’incidente agli occhi mi era stato accanto. Beppe mi era stato sempre vicino, dicendomi di non disperare. Mi faceva forza e mi diceva di non mollare, soprattutto per mia moglie e i miei figli. Lui, proprio lui, che cieco fin dalla nascita non aveva mai potuto vedere la luce del sole, il colore del cielo, i riflessi del mare e nemmeno il colore della notte. Sì, proprio così commissario Cantagallo, la notte ha un proprio colore. Io le dico questo perché prima vedevo e dopo ho notato la differenza che c’è fra il buio totale che accompagna un cieco nella sua vita e l’oscurità che avvolge un luogo a notte fonda. Le sembrerà strano, commissario, ma il buio che vede un cieco è diverso dall’oscurità che una persona normale può osservare nella notte. Il mio amico mi diceva che sarei riuscito a vedere oltre quel buio fitto che mi avrebbe circondato per il resto della mia vita, che avrei visto dove altri, non ciechi come me, non avrebbero mai potuto o voluto vedere. E così è stato. Questa è la mia storia, commissario, e questo è quello che volevo dirle prima di parlarle di quella sera maledetta».
    Cantagallo aveva ascoltato attentamente le parole di quell’uomo. Parole che manifestavano una grande tristezza per la condizione di una persona che era diventata cieca per un errore di malasanità. Parole che dovevano essere d’esempio per tutti quelli che, non ciechi come lui, erano insoddisfatti della loro vita di tutti i giorni e che si lamentavano di condurre una vita normale fatta di cose semplici, come semplice era il fatto di vedere.
    «Non volevo rattristarla troppo, commissario. Ma ci tenevo perché lei lo sapesse. Ora le devo dire quello che è successo la sera in cui è stato ucciso Beppe».
    Il signor Ceccarelli fece una piccola pausa come per prendere fiato, ma si vedeva che era emozionato.
    «Io quella sera ero lì, vicino a lui, ma non ho potuto fare niente per aiutarlo. Non potevo sapere che l’uomo che era stato aggredito nella strada fosse lui. L’ho saputo il giorno dopo quando mia moglie mi ha letto il giornale. Sono arrivato troppo tardi e per lui non c’era più niente da fare. Ho avuto paura di essere ucciso anch’io se avessi parlato alla Polizia. Oggi, però, sentendo le sue parole, mi sono deciso di parlare».
    «Mi dica tutto quello che sa».
    «Martedì sera, come tutte le sere, rientravo a casa dal Centro Anziani. Qualcuno mi ha aiutato ad attraversare la strada e poi ho preso la stradina in salita sulla sinistra che porta verso il paese. In via Garibaldi mi aspettava mia moglie e con lei a braccetto sarei ritornato a casa a piedi. Anche se sono cieco le strade le conosco bene e non ho paura ad arrivare da solo fino a via Garibaldi. Quella sera, però, quando camminavo lungo una strada vicino a via Maestra ho sentito delle voci e dei rumori provenire dalla mia destra. Mi ricordavo che in quel punto la strada si apre su un’altra stradina più stretta e buia che prima gira a destra e poi a sinistra in una viuzza più lunga senza sfondo. Mi avvicinai per capire meglio quello che succedeva. Mentre mi avvicinavo i rumori non si sentivano più e riuscivo a distinguere solo una voce. Quando mi resi conto che il fatto accadeva nella viuzza senza sfondo, non ho avuto il coraggio di proseguire. Sono stato un vigliacco e ho avuto paura di morire. Mi sono nascosto dentro l’antro di un portone sperando che il buio mi proteggesse. In quei pochi minuti che sono rimasto lì nascosto, ho sentito solo una voce sgradevole che ha detto questa precisa frase...


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sabato 21 novembre 2015

Una vetrina nuova per i gialli del commissario Cantagallo: wix.com

Siccome non mi devo fare mancare nulla, ho realizzato gratis su wix.com un nuovo luogo per mostrare in modo più moderno i gialli del commissario Cantagallo.
Vedete il blog qui     http://fabiomarazzoli.wix.com/fabio-marazzoli
Potete trovare cose nuove e cose vecchie, cose mai lette e cose già lette, un po' come in un scaffale di libri di una casa di famiglia.
Appena entrate, trovate le opinini delle gentili Simona e Virginia che hanno letto i miei gialli.
Buona lettura con i gialli del commissario Catagallo editi in ebook da Cristian Cavinato della Cavinato Editore International, che potete trovare anche qui su "La Feltrinelli"
http://www.lafeltrinelli.it/ebook/marazzoli-fabio/1226651



Cantagallo e l'antiquario di via Buonarroti: Pietro Cappelletti

Nel giallo "Un vecchio tappeto persiano" il commissario Cantagallo fa la conoscenza di un altro personaggio particolare: l'antiquario Cappelletti che ha un negozio di mobili di arte antica vicino al paese. Il Cappelletti addirittura aveva un laboratorio dove riproduceva, con legno antico e non, dei mobili in stile di ottima fattura. Era un grande esperto di mobili d’antiquariato, con una vera passione per le scrivanie dotate di scomparti segreti e di congegni vari. Cantagallo va da lui perché gli era stato detto che poteva avere in negozio dei tappeti del tipo “da preghiera” e che fosse un profondo conoscitore di quel tipo di tappeti. Quello strano delitto era colllegato al misterioso furto di certi tappeti e il commissario sapeva che la chiave di lettura di quell'omicidio era conoscere il vero significato di quei tappeti.
Quello che segue è stato estratto dal giallo "Un vecchio tappeto persiano" pubblicato da Cristian Cavinato della Cavinato Editore International e lo trovate anche su Bookrepublic al link qui sotto
https://www.bookrepublic.it/book/9788899121303-un-vecchio-tappeto-persiano/

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Il Cappelletti era conosciuto come un antiquario che vendeva i mobili a un prezzo più alto rispetto agli altri negozi d’antiquariato del paese. E non era molto simpatico a prima vista. Per tutte queste ragioni Cantagallo non era neanche mai entrato nel suo negozio. Dopo dieci minuti era già arrivato davanti alle grandi vetrine di legno e vetro dell’antiquario dove erano esposti una vecchia madia restaurata e un cassettone importante sormontato da uno specchio antico. Dall’esterno non vide nessuno ed entrò, aprendo la grande porta d’ingresso. Il suono di un campanello posto all’altezza del battente della porta avvertiva il negoziante che era entrato un cliente.
Il commissario fu subito accolto dal sorriso di una signora di una certa età, dall’aspetto giovanile e cordiale, che sopraggiungeva dal fondo del negozio.
«Buonasera. Se posso esserle utile, sono a sua completa disposizione. Guardi pure se nel negozio ci sono degli oggetti che le interessano. Il prezzo è esposto sopra ogni mobile, in genere. Se quello che cerca non è presente nella mostra oppure è già stato venduto, possiamo realizzare il mobile che le interessa su misura e con il legno che preferisce. Ha già in mente qualcosa?»
«Buonasera, signora. Io sono il commissario Cantagallo del commissariato di Collitondi e sono qui per ragioni di servizio.»
La signora rimase un po’ stupita, ma non sembrò affatto preoccupata dalla presenza del commissario nel negozio. Disse che si chiamava Costantina Corsi ed era la moglie dell’antiquario. Si mise a sua disposizione. Cantagallo spiegò che l’antiquario Pescatori gli aveva detto che suo marito poteva dargli delle informazioni riguardo a dei tappeti antichi. La signora rispose che conosceva di vista il Pescatori anche se non sapeva dove avesse il negozio. Non era però convinta che il marito potesse aiutarlo. Comunque gli fece segno di seguirla.
«Venga, commissario, si accomodi. Mio marito è qui dietro nel suo studio e, se sa qualcosa, sarà lieto di darle tutte le informazioni che le occorrono.»
La signora superò una serie d’armadi antichi disposti in fila e poi girò sulla destra in un vano del negozio.
«Pietro, c’è il commissario Cantagallo che vuole delle informazioni sui tappeti antichi. Lo manda l’antiquario Pescatori.»
Lo studio dell’antiquario era ricavato dalla disposizione ad U di una serie di mobili antichi che si ergevano come dei muri della sua stanza-studio. Una lampada d’altri tempi, dall’inconfondibile paralume in vetro colore verde-mela, illuminava il piano centrale di una scrivania molto bella e importante. Tutto intorno la luce soffusa  verdognola della lampada rischiarava i mobili dello studio e dava ancora maggiore importanza a quel piccolo spazio. Creava un’atmosfera particolare che sapeva d’antico. A quella scrivania avremmo potuto benissimo immaginare di vedere seduto un personaggio come lo statista Camillo Benso di Cavour oppure il politico Vincenzo Gioberti.
-Una scrivania come questa neanche Zorro se la potrebbe permettere!- pensò subito il commissario.
Invece chi vi stava seduto era l’antiquario Pietro Cappelletti che dall’aspetto sembrava più anziano della moglie. L’uomo era intento a controllare un orologio da tasca con una lente da orefice calzata all’occhio destro. L’attenzione nel lavoro in cui era impegnato evidenziava delle “rughe d’espressione”, che non andavano d’accordo con il colore nero carboncino intenso della capigliatura. L’antiquario era antico dentro, ma nuovo fiammante fuori. Sentendo le parole della moglie, avvolse con cautela l’orologio in un piccolo panno verde e lo ripose in una scatolina di legno. Si tolse la lente dall’occhio e si alzò dalla sedia per salutare il commissario. Non era innervosito dalla visita improvvisata.
«Buonasera, commissario Cantagallo. Continuerò a guardare quell’orologio più tardi. Prego, si accomodi.»
Nonostante l’apparenza, il commissario si dovette ricredere sull’impressione a prima vista che aveva avuto. Malgrado il suo aspetto poco simpatico, l’antiquario sembrava essere invece gentile nei modi e garbato. Lo accolse con un sorriso cordiale. Forse pensava che volesse acquistare un mobile?
«Buonasera, signor Cappelletti. Vorrei chiederle delle informazioni su certi tappeti orientali.»
«È  interessato all’acquisto?» chiese, con un sorriso spalancato a tutta dentiera.
«No. Si tratta di un’indagine.»
Il sorriso dell’uomo si trasformò in una smorfia dispiaciuta. Non era un possibile acquirente. Cambiò espressione in volto, ritornando ad essere l’antipatico dell’impressione a prima vista. Rimase impalato ad osservare Cantagallo. Lo scrutava con diffidenza, come se avesse davanti un settimino fine ‘800 sospettato di essere taroccato.
La moglie, stupita, si mise a sedere in una delle due belle sedie che fronteggiavano la scrivania. Cantagallo si sedette nell’altra, con molta attenzione. Notò che era una sedia imbottita e dall’aspetto sembrava quasi regale, senz’altro era un oggetto d’antiquariato di gran valore. Era un po’ a disagio in una sedia importante e costosa, si accomodò la giacca e iniziò a spiegare i fatti accaduti. Poi gli fece vedere i fogli delle liste. Gli chiese se poteva dargli delle informazioni anche sui tappeti che erano nell’elenco dei signori Trosino. Illustrò le valutazioni che gli aveva fornito l’antiquario Pescatori e che l’aveva indirizzato da lui come profondo conoscitore di tappeti e soprattutto di quelli “da preghiera”.
Il Cappelletti si tranquillizzò. Assunse un’espressione più gentile. Evidentemente era lusingato dal complimento ricevuto. Si rimise a sedere sulla sedia e iniziò a parlare, mentre osservava i fogli. Ringraziò per il termine lusinghiero del collega Pescatori ma si schernì definendosi un semplice appassionato. Aveva solo una piccola esposizione di tappeti di quel tipo. Non aveva altri tappeti perché in paese non c’erano clienti che potevano pagare certi prezzi. Confermò che quei tappeti erano difficilissimi da vendere. Certamente chi aveva organizzato il furto doveva essere un grande intenditore, uno specialista in furti d’arte, una persona che non c’entrava nulla con l’ambiente di Collitondi. Anche per lui tutti i pezzi rubati erano di grande valore.
«Come la sua scrivania e queste sedie, del resto» osservò Cantagallo.
«Ha ragione. Ma le devo fare una confessione: questi mobili non sono d’antiquariato. La scrivania non è antica, è stata rifatta e modificata nel mio laboratorio con il legno di un portone, fine ottocento primi del novecento, che ho trovato in un vecchio casolare nelle campagne vicino Castronuovo» diceva soddisfatto l’antiquario, mentre batteva le dita della mano sinistra sul fianco dello stesso lato della scrivania.
Cantagallo fece caso al fatto che mentre batteva le dita si sentiva in quel punto un debole suono sordo che non quadrava con la robustezza della scrivania.
Intanto l’antiquario continuava.
«Riprende l’antico modello in mogano della scrivania chiamata “Regina Vittoria”. Come le sedie. Sono di palissandro intarsiato, rifatte rispettando lo stile “Impero” dei primi dell’ottocento.»
Cantagallo era interessato all’argomento, ma doveva finire il suo giro di colloqui per sentire il suo amico iraniano che vendeva tappeti.
Si congedò dall’antiquario e dalla moglie.
Uscì dal negozio a testa bassa e si diresse di gran carriera verso il negozio di tappeti di Abdullah Hassan.


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domenica 15 novembre 2015

Cantagallo e Fabio Orsini, il portiere del villaggio Miramare

Il commissario Cantagallo nelle indagini "marine" entra in contatto con vari personaggi particolari. Uno di questi è Fabio Orsini, il portiere del villaggio "Miramare" dove i Cantagallo hanno la casa per l'estate. Fabio è una gran brava persona, conosce bene il paese di Castiglioni Marina e chi ci abita. E quando il commissario vuole sapere qualche informazione importante si rivolge a lui ed è sicuro che l'avrà. Fabio conosce le cose ma non fa della conoscenza un pettegolezzo.Tutte le volte il commissario deve sempre convincerlo a dirgli tutto quello che sa per sapere qualche indizio che lo metta su una pista buona de seguire. Stavolta la cosa è molto delicata perché si tratta di parlare di certe vicende familiari delicate e complicate. Fabio prima accenna qualcosa e poi con molta difficoltà decidere di di confidare al commissario Cantagallo certi particolari interessanti. 
Questo e non solo questo lo potete trovare nel giallo delle inchieste marine del commissario Cantagallo intitolato "Segreto fra le righe".

Quello che segue è stato estratto dal giallo "Segreto fra le righe" pubblicato da Cavinato Editore e lo trovate anche su Bookrepublic al link qui sotto
https://www.bookrepublic.it/book/9788899121310-segreto-fra-le-righe/ 

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    La mattina dopo il commissario Cantagallo era già in giro per il “Villaggio Miramare”: cercava il portiere del villaggio, Fabio Orsini. Voleva parlare con lui a proposito della morte di quel muratore e delle voci sul conto della moglie Mirella. Voleva vederci chiaro e avere delle conferme su quanto gli aveva riferito la signora Mara. Il commissario pensò che prima o poi Fabio sarebbe passato dalla portineria del villaggio e decise di aspettarlo lì. Rimase vicino alla bacheca, sotto la veranda del porticato della portineria, all’ombra. Gli andò lo sguardo sulla bacheca e notò che era già stato affisso il giornale settimanale di Castiglioni: “Il Faro”. La notizia in prima pagina era dedicata alla morte del muratore.



Intanto, da uno dei vialetti interni del villaggio, sopraggiungeva il portiere Orsini. Vide subito che il commissario lo stava aspettando davanti alla portineria e gli andò incontro con il suo cordialissimo sorriso.
«Fabio, buongiorno. Avrei bisogno di una certa cosa.»
«Buongiorno, Angelo. Dimmi pure quello che ti serve. Se vuoi, andiamo direttamente al magazzino del villaggio, così vedi quello che ti occorre e lo prendi subito. Possiamo andarci anche ora. Ho con me le chiavi del lucchetto che chiude il catenaccio della porta…»
«No, mi occorre una cosa che non è nel magazzino.»
«Va bene, dimmi di che si tratta e se vuoi te la vado a prendere io alla ferramenta in paese.»
«Nemmeno» rispose il commissario facendo il misterioso. «La cosa che mi occorre non si trova neppure dal ferramenta, ma me la devi fornire tu: è la conferma di un’informazione scottante e delicata che mi hanno riferito ieri sul conto di una donna, di una moglie in particolare.»
Fabio lo guardava negli occhi aggrottando la fronte. Non capiva bene di chi potesse parlare Cantagallo ma era sicuro che non fossero dei pettegolezzi su un proprietario di un appartamento del villaggio. Doveva essere un’informazione particolare legata ai recenti fatti di cronaca nera accaduti in paese. Sapeva che il commissario s’impicciava dei fatti degli altri solo per ragioni di lavoro o di “consulenza”, come gli capitava di tanto in tanto a Castiglioni Marina. S’immaginava anche che il commissario fosse stato coinvolto, suo malgrado, nelle indagini del muratore trovato morto: uno più uno faceva sempre due. Pensò un altro po’ e poi anticipò Cantagallo.
«Se mi chiedi qualcosa della moglie del muratore, ti dico quello che ti possono avere già detto altre persone: le voci circolano e sembra, ti ripeto, sembra che sia tutto vero. Ci sarebbe una tresca, da qualche mese, fra Mirella e don Massimo. Sono tutte voci, ma siccome ne parlano in tanti, non vorrei che fosse tutto vero. Sono solo delle voci e non gli ho dato peso. Angelo, lo sai, non sono un tipo che sta dietro a certe chiacchiere.»
Cantagallo rimase sorpreso dalla risposta dell’Orsini.
«Grazie, Fabio. Mi hai anticipato e sei stato molto utile, come al solito. Ma sei sicuro di non avere altro da dirmi? Pensaci bene. Ho bisogno d’informazioni. A volte certe indiscrezioni sono fondamentali per risolvere un caso o per mettere il naso in fatti che rimarrebbero sconosciuti.»
Nel dire questo, fu invece il commissario a guardarlo fisso negli occhi. Era sicuro che il suo amico portiere potesse raccontargli qualcos’altro d’interessante.
Fabio a sua volta rimase a fissarlo e fece una smorfia con la faccia. Non sorrideva più. Si erano intristiti pure i sottili baffi col pizzo che si era fatto crescere nelle ultime settimane. Evidentemente conosceva altri particolari di quella vicenda. Orsini era una persona seria a cui non piaceva parlare di certi particolari che potevano sconfinare nel pettegolezzo. Si faceva sempre gli affari suoi e non perdeva mai il suo tempo dietro alle chiacchiere del paese. Non faceva parte della sua natura. A volte però capitava che i suoi amici parlassero di certe cose che accadevano in paese e non poteva fare a meno di ascoltarle. Sapeva che doveva informare Cantagallo e, al pensiero di quello che gli doveva dire, aveva cambiato l’espressione del viso. Era teso e amareggiato, ma capiva che poteva aiutare il suo amico commissario.
Fabio così decise di riferirgli ciò che sapeva.
 


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