domenica 1 novembre 2015

La passeggiata digestiva lungo il fiume del commissario Cantagallo

Con le belle giornate, non c'è niente di meglio che una bella camminata all'aria aperta. E questo lo sa bene anche il poliziotto di quella Toscana inventata ma non troppo a cui piace fare due passi nella natura a disposizione lungo il fiume di Collitondi. Dopo aver ben mangiato al ristorante Attanasio, il commissario Cantagallo approfitta della passeggiata lungo il fiume per parlare con i suoi uomini delle indagini in corso. Di solito lo fa con Razzo e Bandino, gli unici del commissariato con cui fa la pausa pranzo. Stavolta con loro c'è anche la vice, la dottoressa Turchi. Ragionamenti e osservazioni si alternano nei loro colloqui, e l'occasione è buona per ripensare a certe fatti e a come sono stati interpretati per individuare la pista che conduca i poliziotti ad arrestare il colpevole. Una pista che non occorre che sia scoperta è quella che porta al ristorante Attanasio. Nella prossima settimana ci sarà qualche indicazione che vi aiuterà a scoprire a quale ristorante mi sono ispirato per tratteggiare certi particolari, sempre ammesso che vi interessi saperlo.
Quello che segue è stato estratto dal giallo "Un vecchio tappeto persiano" pubblicato da Cristian Cavinato della Cavinato Editore e lo trovate anche su Bookrepublic al link qui sotto
https://www.bookrepublic.it/book/9788899121303-un-vecchio-tappeto-persiano/



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Attraversarono il ponte di legno e s’incamminarono lungo il solito percorso della pista ciclabile in direzione del Campino, verso la località Malvoni.
Cantagallo era pensieroso e silenzioso: senz’altro stava rimuginando quello che poco prima aveva detto la vice a proposito dei signori Marinoni. Quel particolare comportamento del commissario non sfuggì alla vice che ruppe il silenzio.
«Come mai sta tutto zitto?! C’è qualcosa che non le torna su quello che hanno detto i signori Marinoni?»
«Sì, non mi torna quello che ha detto la Bernardeschi. Stavo ragionando sulla vecchia situazione finanziaria della sua famiglia e, in particolare, sui “pezzi di famiglia”.»
«In che senso?» chiese Bandino.
«Nel senso che la Bernardeschi è una persona che ha bisogno di soldi per sanare certe situazioni economiche del vecchio mobilificio dei genitori e probabilmente si può trovare in difficoltà per far fronte a certi pagamenti. È stata lei, dottoressa, a riferire che i Trosino e i Contestabile le hanno detto che hanno acquistato tutti gli oggetti di valore messi all’asta dalla famiglia Bernardeschi. Quindi mi domando e dico: se tutti gli oggetti di valore sono già stati venduti dai Bernardeschi, come fa la Bernardeschi a vendere altri oggetti preziosi rimasti per pagare i creditori del mobilificio?» nel fare questa domanda, il commissario guardò che ora era al suo orologio da polso. Era già tardi, ma voleva continuare a parlare dell’indagine con i suoi colleghi, lungo il fiume. «Oggi, se va bene anche a voi, facciamo il “giro lungo”. Preferisco ragionare dell’indagine all’aria aperta piuttosto che nell’ufficio.»
I colleghi rimasero in silenzio. Per il commissario era il segnale del tutto bene, si poteva proseguire a passeggiare.
«Poi c’è un altro fatto che ci ha riferito lei, dottoressa. Ci ha detto che la Bernardeschi, all’epoca del fallimento del mobilificio, ha venduto la maggioranza degli oggetti di valore e che qualche “pezzo di famiglia” rimasto è venduto, di tanto in tanto, per sistemare certe situazioni pendenti con i vecchi creditori. Allora, mi domando e vi ridico: gli oggetti di valore sono stati venduti tutti oppure c’è rimasto qualcosa? Da quello che è stato riferito c’è qualcosa che non quadra. I casi sono due: i Trosino e i Contestabile non ricordano certi dettagli dell’asta oppure la Bernardeschi ci vuol far credere che le sono rimasti altri oggetti di valore della vecchia casa di famiglia. Ma ci può essere anche un terzo caso.»
L’aria del commissario si fece un po’ misteriosa.
«Un terzo caso?» chiedeva stupito Razzo.
«Sì, un terzo caso. Ma, badate bene, è solo una mia personalissima ipotesi lontana, lontana lontana…»
«Ce la dica, non ci tenga sulle spine!» incalzava la vice.
«Il terzo caso è che la Bernardeschi poteva chiedere un prestito per colmare i debiti.»
«Un prestito a una banca?» si affrettò a dire Bandino.
«Un prestito al marito?» chiese Razzo.
«Un prestito a uno strozzino?» sussurrò a mezza voce la vice, con un bel sorriso sulle labbra.
«Quasi. Forse, un prestito a una strozzina!» rispose il commissario.
Dicendo questo Cantagallo notò su una panchina delle pagine ripiegate del quotidiano ”Il Corriere di Castronuovo”. La copia era del giorno. Il commissario la prese in mano, guardò la prima pagina e poi la mostrò ai suoi uomini. In prima pagina, il solito giornalista Battista Mazza, aveva dedicato un articolo a sei colonne sull’omicidio della maga con un titolo mozzafiato.



«Vedete» continuava Cantagallo «anche i giornalisti inzuppano nel passato poco limpido della maga.»
Razzo, il più stupito del gruppo, voleva andare a fondo sull’argomento.
«Ma come? La maga era una strozzina? Non ci posso credere! Mezza Collitondi andava da lei per risolvere dei problemi di salute, dei guai familiari e per avere dei numeri buoni da giocare al Lotto.»
«Calma, ho detto: forse. Il Lomonaco mi ha riferito che la maga non era uno stinco di santo, truffava i suoi clienti e che, forse, prestava soldi. Da qui a dire che prestava “a strozzo” del denaro ce ne vuole, ma non è un’ipotesi da scartare. Vi ricordo, però, quello che la maga diceva nel suo spazio pubblicitario televisivo. Ripeteva, fra le tante frasi, anche quella che faceva più o meno così: “La maga Mimma mette a posto tutti i guai...”.»
Intanto la dottoressa Turchi stava riflettendo sulle considerazioni del commissario. Non era stupita dall’ipotesi dello strozzinaggio, ma era incredula sul fatto che le due donne, la signora Simona e la maga Mimma, fossero venute in contatto. La cosa non le quadrava. Più ci pensava e più la cosa non le tornava. Era visibilmente contrariata dall’ipotesi del commissario a proposito del collegamento fra le due donne e glielo disse. Secondo la vice la signora Bernardeschi non c’entrava nulla con quella maga ciarlatana. Le due donne non potevano essere entrate in contatto perché erano troppo diverse tra loro. La signora Simona, anche se fisicamente un po’ rude per il fisico da palestrata, era una donna molto dolce e comprensiva. Insieme al marito si dedicava a molte opere di beneficenza. Assisteva persone povere e bisognose. Non si poteva definire una “dama di carità”, però si poteva descrivere come una signora caritatevole. Questo lo poteva affermare tranquillamente dopo il colloquio avuto con lei al commissariato.
«La signora Simona è una gran brava persona, glielo assicuro.»
«Ma che fa?! Tiene un’arringa difensiva della Bernardeschi? Nessuno l’ha incolpata.»
«Mi deve scusare. A volte il “guanto di velluto” scappa e rimane scoperto il “pugno di ferro”.»
La dottoressa Turchi aveva dei modi garbati ma inflessibili nel trattare certe situazioni durante gli interrogatori. Talvolta i sistemi bruschi ma efficaci dei colleghi Bandino e Razzo non andavano bene in certe situazioni, in cui doveva essere sfoderata una certa diplomazia, nei modi di fare e di parlare. Col tempo la vice era diventata la persona più adatta a gestire le situazioni delicate. Nonostante questo si era guadagnata il soprannome "Turca", ma nessuno dei colleghi la chiamava così.
«Certo, dottoressa» fece Razzo «a volte il suo soprannome le sta proprio bene. Quando s’infervora, si arrabbia come una “turca”.»
E rimase ad osservarla dall’alto in basso e non a caso. Infatti le figure di Razzo e della vice erano completamente diverse. Razzo era alto, grosso, dalla stazza poco sotto il quintale, mentre la vice era bassa, normale, con il fisico irrobustito dall’attività sportiva delle ferrate di montagna, di cui era tanto appassionata. La vice era un “peperino”. Non ci stava alle prese in giro di Razzo e replicò subito.
«Bravo, hai fatto la battuta! Ma resta il fatto che per me la signora Bernardeschi non c’entra niente!»
«Sì, come la cannella di prima.»
Il commissario Cantagallo ricompose la faccenda. Voleva continuare il discorso interrotto prima e si voleva sbrigare perché altrimenti avrebbero fatto troppo tardi senza concludere nulla. Ripresero a camminare verso il Campino per fare il “giro lungo” e ricominciarono a parlare. Poco più in là, alla loro destra, oltre la coltre delle canne d’acqua, scorreva placido il Marna lungo il suo corso. Lì quattro germani reali si erano guadagnati il centro del fiume. Ogni tanto giravano il capo e facevano sentire un leggero starnazzare. Si godevano quello spicchio di natura incontaminata che tanto piaceva anche ai collitondesi per trascorrere in pace e all’aria aperta i pomeriggi quotidiani. Anche l’occhio voleva la sua parte e la vista di quelle acque tranquille rasserenava lo spirito di molte persone. Una lunga striscia azzurra imperlata dai bagliori del sole che si insinuava nel verde dei dolci pendii del letto del fiume. Intanto il più grande dei germani precedeva in testa al gruppo mentre gli altri lo seguivano tranquilli scivolando sulle fresche acque. Forse anche loro stavano facendo il “giro lungo”.
La passeggiata di quel pomeriggio terminò più tardi del solito. Cantagallo e i suoi colleghi avevano fatto molti discorsi e ragionamenti a proposito di quei delitti. Il commissario preferì non rientrare al commissariato, quando giunsero in piazza Martiri Val Marna, prese la sua auto e rientrò un po’ prima a casa. I lunghi colloqui di quel pomeriggio l’avevano affaticato, forse anche per il caldo patito durante la camminata lungo il fiume. Voleva cenare e riposare per almeno otto ore, le “sue” ore, per recuperare le energie spese nella giornata.


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