sabato 6 febbraio 2016

Il "consigliere" di Cantagallo: Don Vito Lomonaco

Oggi facciamo la conoscenza di un personaggio molto particolare: Vito Lomonaco, "consigliere di giustizia" del commissario Cantagallo. 
Vito Lomonaco si trovava a Collitondi come confinato comune per il concorso in reati di mafia compiuti nell’entroterra siciliano. Il giudice aveva impacchettato e spedito Don Vito, così si faceva chiamare, in un’abitazione di via Fiorentina al numero 1 insieme alla sua famiglia. 
Il Lomonaco fino al momento del suo arresto era stato, o forse era più giusto dire sarebbe stato, il contabile e consigliere di Calogero Cabizzi, capo dell’omonima cosca mafiosa siciliana che faceva il bello ma soprattutto il cattivo tempo nei paesi della provincia siciliana compresa fra Palermo e Agrigento. Il Cabizzi, che si faceva chiamare Zè Lillo, era latitante in Sicilia da più di dieci anni e ricercato dalla Polizia di tutta la regione. Chi gli dava la caccia, però, era convinto che Lillo doveva essere sempre in zona perché voleva controllare la moglie, una gran bella donna, e “curare i propri affari”, ai quali era interessato anche un altro esponente della malavita locale: Rosario Cefarò, che si faceva chiamare Zè Saro. 
Saro voleva togliere di mezzo Lillo dal suo territorio per fare altri affari, come droga, prostituzione minorile, pedofilia, traffico d’organi e traffico d’extra comunitari.
Lillo, allo stesso modo, voleva spazzare via dalla faccia della terra uno come Saro. Il Cabizzi si era sempre opposto a certi affari che per la sua famiglia non appartenevano a quel codice d’onore della tradizionale mafia siciliana. Lillo era un vecchio capo mafioso che non si era mai macchiato di un omicidio e anche i suoi uomini non avevano mai commesso un assassinio: solo qualche testa rotta o qualche braccio ingessato, come imponeva il “Codice Cabizzi”. Solo se qualcuno ignorava il codice gli uomini di Cabizzi entravano in azione, richiamavano all’ordine il meschino e per non fargli dimenticare come stavano le cose gli lasciavamo un bel souvenir. La loro associazione a delinquere era fatta di “persone d’onore perbene che dovevano rispettare la famiglia”. 
Il Lomonaco nell’organizzazione dei Cabizzi avrebbe, badate bene ho detto avrebbe, dovuto avere il ruolo di contabile e consigliere dello stesso Calogero. Don Vito avrebbe assunto, in certi casi, anche il ruolo di capo per prendere delle decisioni importanti in assenza di Zè Lillo. Poi le cose erano andate com’erano andate e il Lomonaco era stato messo al confino. 
Don Vito, in questi anni di permanenza in paese, si era sempre comportato bene e in più di un’occasione aveva fornito degli utili consigli a Cantagallo.
Don Vito, in effetti, non era un vero e proprio collaboratore di giustizia, ma siccome non la ostacolava, non poteva nemmeno essere un “ostacolatore”. Non gradiva neppure il termine di “collaboratore”, non gli piaceva, anche perché si era sempre dichiarato estraneo a tutti i reati di cui era stato accusato. 
Il Lomonaco era un uomo di poco più di cinquanta anni, tarchiato, scuro di carnagione e di capelli: tipicamente siciliano, ma senza baffi. Era sposato e aveva due figli maschi che frequentavano le scuole superiori a Collitondi. Persona mite e pacata, era dotato di una grande capacità di ragionamento di certe circostanze criminali, vista anche la sua esperienza nel “settore”. Era sempre disponibile a ragionare con il commissario sugli episodi criminali: certi argomenti lo facevano rinascere e lo riportavano indietro nel tempo quando svolgeva la sua attività in Sicilia. 
Cantagallo e Don Vito erano entrati subito in sintonia e anche in simpatia, sotto certi punti di vista. I due avevano qualcosa in comune: avevano sposato una siciliana. Questo al Lomonaco bastava e avanzava per entrare in simpatia con il commissario.
La vicenda la potete leggere qui sotto, nell'estratto del giallo "UN VECCHIO TAPPETO PERSIANO" pubblicato da Cristian Cavinato della Cavinato Editore International. 



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