domenica 11 giugno 2017

FLACONI E VECCHIE RICETTE: un assaggio

Buongiorno e buona domenica a tutti. 

Oggi vi propongo un "assaggio" delle prime pagine del primo giallo della nuova serie dei gialli che nel 2017 sono stati pubblicati da Cristian Cavinato della Cavinato Editore International di Brescia. Inizio con la presentazione del giallo "FLACONI E VECCHIE RICETTE". Vi ricordo che l'indagine si svolge a Collitondi e i fatti accadono in pieno luglio per una serie di morti che accadono nel paese in un clima infuocato dal bollore dell’anticiclone Africano che attanaglia Collitondi. 

Il commissario Cantagallo non è riuscito a partire con la famiglia per il fine settimana al mare e ha deciso di impegnarsi, a casa, in qualcosa di complesso e intricato che vuole portare a termine a tutti i costi. Alla fine non riuscirà a compiere quell'impresa "titanica" che più volte si era riproposto di concludere, anche perché si dovrà interessare, insieme ai suoi uomini, di un fatto ben più difficile e intrecciato che gli capiterà fra capo e collo pure di domenica. 

Ecco a voi la prima parte del primo capitolo del giallo. 

Buona lettura. 






Capitolo uno












    Una situazione simile a tante altre che aveva già vissuto. Una faccenda dove si sarebbe dovuto sporcare le mani. Non per stanare un assassino ma per scovare un oggetto particolare. Doveva risolvere uno strano caso in una cantina, la sua. Sapeva benissimo cosa cercare ma non aveva tutte le informazioni per decidere da dove iniziare. Se si fosse trattato di un’indagine vera e propria, aveva tutta l’esperienza necessaria. Le problematiche casalinghe, invece, non facevano per lui. Era completamente negato per tutte le faccende domestiche. Non aveva le minime abilità dell’uomo di casa e, soprattutto, la voglia. Quella volta, però, si trattava di una cosa semplice e non poteva tirarsi indietro. E così fu.
    In una domenica pomeriggio di fine luglio, nemmeno glielo avesse ordinato il medico, il commissario Cantagallo si era messo a trafficare in cantina. Si era rotta una serratura dell’armadio del soggiorno e si ricordava di averne una nuova lì, da qualche parte. Ne era sicuro. L’aveva scritto su un fogliettino: “Serratura nuova in cantina”. Ma dove? Era passato un po’ di tempo e non se lo ricordava più. Avrebbe dovuto disegnare una mappa con la X nel punto dove l’aveva messa. Era convinto che fosse nella cassetta degli attrezzi ma si sbagliava. Allora, con la scusa di cercarla, ne avrebbe approfittato per mettere in ordine gli scaffali e sistemare meglio gli scatoloni, con i suoi libri universitari e le fatture pagate. In tutto quel leva e metti avrebbe trovato senz’altro la serratura. Avrebbe visto dove fossero altre cose e, forse, se ne sarebbe ricordato la prossima volta che ne avesse avuto bisogno.
    Ma non era quello il punto. Il punto era che, una volta per tutte, doveva riuscire a mettere ordine in cantina. In precedenti occasioni ci aveva provato. Poi, però, passava il tempo, accumulava altre cose e doveva ricominciare daccapo. Ne era più che convinto: non sarebbe mai riuscito a mettere in ordine le cose che aveva in cantina nemmeno se fosse stato il campione mondiale dei magazzinieri.  
     Aveva però delle piccole consolazioni. Quando vi aveva ritrovato cose che pensava di avere perso, si consolava ricordando un vecchio proverbio: “La casa non ruba, nasconde”. Ma voleva giocare il meno possibile a nascondino con gli oggetti.
    Comunque, con tutto quel movimento che faceva per trafficare in cantina, non si muoveva a vuoto. Muovendo le braccia faceva ginnastica, si piegava e si allungava in tutte le direzioni. In più stava al fresco. In quella specie di palestra sotterranea, faceva sano moto a costo zero. E così preveniva anche la pancia. Non l’aveva ma la temeva, come tutti quelli della sua età. Proprio l'altro giorno, la rubrica “Salute e Benessere” del TG aveva sentenziato che i quarantenni erano a “rischio” e dovevano muoversi per prevenirla. Per sincerarsi del livello della pancia, ogni tanto, vestito, si metteva in piedi e con lo sguardo traguardava la fibbia dei pantaloni. Voleva vedere se il profilo della pancia impedisse la visione dell’accessorio. Fino a quel momento, la “prova fibbia” era sempre andata bene e la pancia rimaneva nel limite. Però, visto che i quaranta li aveva passati da qualche anno, si era preso l'impegno di sfruttare ogni occasione per fare ginnastica. La domenica mattina, indagini permettendo, giocava a tennis con il collega Razzo. Le uniche cose che lo distoglievano dallo sport domenicale erano il bollore estivo e il fine settimana al mare con la famiglia. Il caldo africano di quei giorni gli aveva fatto saltare il tennis e impedito di andare al mare. A complicargli le cose, c’erano stati pure gli strascichi di una rissa in un bar che gli erano costati il sabato. Con le denunce aveva fatto le quattro del pomeriggio e a quell'ora non se l'era sentita di mettersi in viaggio. La seduta plenaria della famiglia aveva bocciato all’unanimità il fine settimana al mare.
    Perciò, quella domenica si era alzato tardi e aveva deciso di organizzarsi un pomeriggio casalingo. Era tanto che voleva riorganizzare la cantina e sperava di riuscirci in un paio d’ore. Iolanda si era raccomandata che non facesse troppi sforzi. I vent’anni li aveva superati da un pezzo e doveva stare attento al “colpo della strega”. Cantagallo l’aveva tranquillizzata. Non aveva più vent’anni e sapeva benissimo quali fossero i suoi limiti fisici. Sapeva come si doveva e non si doveva piegare, quanto peso poteva e non poteva sollevare. L’ultima volta gli era capitato, alcuni anni prima, in condizioni ambientali lavorative pessime.
    Era accaduto d’inverno, durante un appostamento notturno insieme a Bandino e Razzo, dentro una vecchia fabbrica abbandonata. Un piegamento brusco per evitare di essere visto, insieme al freddo gelido e all’umidità stagnante patiti per un paio d’ore, l’aveva fatto piegare in due con un dolore lancinante alla schiena. Per rimettersi in sesto, gli ci vollero un paio di settimane, una buona dose di antinfiammatori, molti massaggi con olio canforato e tanta pazienza. Con tutta la canfora che gli era stata massaggiata, la schiena si era talmente imbevuta di quell’odore che nei primi giorni di convalescenza al commissariato, quando passava per gli uffici, lasciava una scia nauseabonda. Sembrava un gigantesco Arbre Magique semovente alla puzza canforata. Per qualche giorno dovette convivere con quella condizione pestilenziale che aveva anche il suo lato positivo: scoprì che teneva lontane mosche e zanzare. Da quel momento giurò che non si sarebbe più approfittato della sua schiena. Mai più.
    Ora c’era l’ultimo scatolone da sistemare. Si sentiva la schiena indolenzita ma quello era l’ultimo e doveva metterlo a posto. Si piegò di scatto, lo agguantò e lo sollevò di slancio verso lo scaffale più alto con la foga di un ventenne.  
    Ma non aveva detto che non era più un ventenne? Sì, ma era risaputo che i quarantenni si scordavano le cose che avevano detto dieci minuti prima.
    Si rese conto di quello che aveva fatto, ma era troppo tardi.
    Non fece nemmeno in tempo a mandarsi un sacrosanto accidenti che una fitta, tipo coltellata, al fianco destro lo fece piegare in due dal dolore. Strinse la bocca per non urlare. Rimase immobile qualche minuto con la mano serrata a sorreggere la parte dolorante. Doveva resistere e rimanere in quella posizione. Se il dolore fosse diminuito, sarebbe riuscito a riportarsi in posizione eretta, a trovare quella maledetta serratura e a prendere l’ascensore per tornare a casa.  
    Cantagallo era lì da una mezzoretta che se ne stava piegato come il Discobolo di Mirone e già gli sembrava di stare meglio. Nessuno avrebbe saputo della sua disavventura. Mentre era dolorante, aveva spento il telefonino. Voleva evitare di rispondere alla moglie e di tradirsi col tono sofferente della voce. Tornò in posizione eretta con movimenti millimetrici, cercando appigli agli scaffali per sostenere lo sforzo. Si massaggiò il fianco, rinfrancato.  Stava meglio e si rimise a cercare la serratura. Dopo dieci minuti la trovò. Era dentro il barattolo vuoto dello stucco che teneva nell’armadietto di plastica sotto le feritoie della presa d’aria. Ma chi l’aveva messa lì? Ora si ricordava! Ce l’aveva messa quando aveva fatto un lavoretto per riprendere un pezzo di intonaco sciupato.
    Quello era il segnale che doveva ordinare quello che aveva in cantina.
    Chi lo avrebbe fatto? 
    Ragionava e aspettava l’ascensore. Si sosteneva il fianco con la mano e non tratteneva una smorfia di dolore.
    All’improvviso si aprirono le porte e si materializzò il geometra Minutella, smilzo cinquantenne caposcala del condominio, in canottiera e ciabatte a fascia con un paio di fiaschi vuoti in mano.
    Il geometra sorprese Cantagallo nella posizione dolorante da mal di schiena. Strinse gli occhi e buttò lo sguardo indagatore sul commissario per avere una conferma della sua ipotesi. Cantagallo lo capì al volo e, stringendo le labbra, scosse il capo energicamente per negare l’evidenza. Ma il geometra aveva capito tutto quel teatrino e prontamente offrì al commissario un portentoso massaggio della moglie con l’olio canforato.
    «Ines con i massaggi ci sa fare e il canforato è una mano santa per la lombaggine. Si ricorda quando qualche anno fa, con quelle manine sante, le rimise a posto la schiena? Mi dia retta, commissario!».
    Cantagallo si ricordava benissimo i massaggi della moglie grassottella del geometra, che aveva delle mani paffute come degli zamponi in miniatura. A sentire nominare il fetido olio gli venne la nausea. Rifiutò l’offerta, come quelli alla tv: “Ringrazio il geometra e vado avanti!”.
    Il commissario tergiversò dicendogli che nello spostare uno scatolone pesante si era fatto un leggerissimo strappo alla schiena e che comunque gli stava già passando. Poi s’infilò rapido nell’ascensore, come se entrasse nella navetta spaziale di salvataggio per scampare all’impatto imminente di un meteorite con l’astronave madre.
    «Grazie, geometra, ma non stia a disturbare sua moglie. Praticamente mi è già passato il dolore. È tutto a posto, tutto passato. Arrivederci».
    Il geometra lo salutò alzando un fiasco.
    Ma non era convinto della pronta guarigione del commissario.  






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