Nell'ultimo fine settimana di febbraio vi propongo la lettura del primo capitolo estratto dal giallo "LO SGUARDO NEL BUIO", pubblicato in ebook e cartaceo da Cristian Cavinato della Cavinato Editore International di Brescia.
A questo giallo sono molto legato perché, come dico nella nota alla fine del libro, la storia è dedicata a una persona particolare, un uomo di Poggibonsi diventato cieco per una vicenda di malasanità. L’uomo, con l’ausilio di una speciale macchina per non vedenti, aveva letto il mio primo romanzo giallo ("Dentro un vicolo cieco", Lalli Editore 2007) e mi aveva telefonato per dirmi che in quelle pagine “aveva rivisto il suo paese”. In quell’occasione mi aveva raccontato la vicenda legata alla sua nuova condizione di persona non vedente. Le parole di quell’uomo mi sono rimaste impresse nella mente e alcune di quelle frasi sono state inserite in questo giallo per fare una riflessione sull’argomento.
Indubbiamente quella telefonata che ricevetti all'epoca del mio primo romanzo ha lasciato il segno, più di qualsiasi altro premio o riconoscimento, e mi ha dato lo stimolo giusto per continuare a scrivere la serie dei gialli del commissario Cantagallo.
Quella che propongo oggi è la vicenda dove il commissario Cantagallo deve indagare sul delitto di un uomo cieco che è stato ucciso in circostanze oscure in una stradina buia vicina al centro del paese. La prima ipotesi è quella della rapina andata male ma piano piano si fa strada un'altra ipotesi ben più complessa e dai risvolti drammatici quanto insospettabili. Il poliziotto dovrà scavere bene dentro la vita dell'uomo ucciso per catturare il micidiale assassino che voleva truccare quel delitto con l'aiuto dell'oscurità della notte.
E il commissario Cantagallo sapeva benissimo che l’oscurità era tutto un trucco della notte.
E il commissario Cantagallo sapeva benissimo che l’oscurità era tutto un trucco della notte.
Buona lettura.
"Capitolo uno
Era una serata di fine settembre.
Il commissario Cantagallo, appoggiato alla ringhiera della sua grande terrazza, osservava il buio che si allungava verso il paese e si godeva il fresco della sera.
Alle sue spalle, nel soggiorno, Iolanda discorreva nella consueta telefonata settimanale con sua sorella e Luigi disegnava dei personaggi manga di sua invenzione con carta e penna.
Così, come tutti i dopocena che Dio metteva in terra da qualche tempo a quella parte, i Cantagallo erano in attesa del film di prima serata.
Nel frattempo, il commissario scrutava il buio e gli tornavano in mente certi suoi pensieri ricorrenti sul potere ingannatore della sera. A pensarci bene, cos'era l'oscurità? L’oscurità era tutto un trucco della notte per camuffare le magagne della realtà che erano illuminate dalla luce del giorno. Infatti, la luce faceva risaltare i difetti delle cose, mentre l’oscurità li sapeva ben occultare, celando pecche, manchevolezze e altri guasti non visibili nel buio.
A Cantagallo non piaceva la notte, il buio in particolare. Nell’oscurità si annidavano i criminali: era un dato di fatto conosciuto da tutti, anche da chi non fosse un poliziotto come lui. Nel buio, i delinquenti si sentivano autorizzati a compiere furti e delitti, come se quella cappa oscura li avvolgesse, li proteggesse, nascondendoli alla vista. La notte era una specie di lasciapassare per coloro che del crimine ne avevano fatta una scelta di vita e l’oscurità diventava una sorta di maschera, dietro la quale si nascondevano i criminali per agire indisturbati. La sua repulsione nei confronti della notte non era una deformazione professionale, ma una vera e propria avversione naturale. Il calare della notte spesso induceva le persone a compiere dei crimini che difficilmente avrebbero commesso durante il giorno. Tale condizione era conosciuta come “stato crepuscolare” ed era per tutto simile al sonnambulismo, ma poteva mettere le persone nelle condizioni di uccidere. Quindi, per il commissario era indubbio che di notte tutto potesse accadere, omicidi compresi, anche se di recente, in paese, non ce ne erano stati. Cantagallo, però, non si faceva troppe illusioni e già immaginava che da un momento all’altro gli sarebbe piombato un omicidio fra capo e collo. Non era un banale fatalismo. La sua esperienza gli faceva supporre che prima o poi sarebbe capitato: era nel normale corso delle cose della vita. E quando sarebbe accaduto? Non si dette una risposta e, quasi a cercarla in quel buio dove probabilmente si nascondeva, continuò a tenere lo sguardo fisso verso l’oscurità.
In quella serata, però, non era il solo a cercare una risposta nel buio.
«Bice! Bice! Vieni qua, piccolina! Dove sei?».
Una signora anziana, disperata, cercava nei vicoli del paese la sua piccina. L’età della donna e l’oscurità dei luoghi angusti mal si coniugavano con la certezza del ritrovamento.
«Dove ti sei cacciata? Birbona, ti avevo detto di non allontanarti!».
Era sempre così fra nipoti e nonni. I nonni davano un dito e i nipoti si prendevano il braccio. Ma non si poteva chiedere di più a delle piccole creature innocenti.
«Brutta vigliacca che si va sempre a nascondere! Se ti prendo, ti faccio il pelo e il contropelo!».
Ma l’anziana donna cercava una nipotina smarrita?
Forse, probabilmente.
Poi si rivolse all'amica che l’aveva accompagnata nella spedizione di recupero.
«Ovvia, Leontina! Fai qualcosa! Non star lì con le mani in mano! Aiutami a ritrovare la piccolina!».
L’altra signora, anziana pure lei e un po’ malferma sulle gambe, la seguiva alcuni passi indietro con una torcia accesa in mano ed era poco convinta nella riuscita della missione.
«Oh, Primetta!» e scuoteva la torcia. «È inutile che ti agiti tanto. Non è la prima volta e non sarà nemmeno l’ultima. È settembre, è caldo ed è sempre la stagione degli amori. Non te lo ricordi più che in questo periodo Bice scappa sempre per qualche giorno per andare a fare l’amore con quel gatto che ha una macchia nera sull’occhio?!».
Era proprio una nipotina quella che stavano cercando?
Sicuramente no.
Non si trattava di una bambina che si era allontanata, ma di una gatta che era sfuggita di casa alla signora Primetta Brogioni, la gattaia del vicolo San Giorgio di Collitondi.
Primetta tolse di mano la torcia all’amica, con uno strattone tale che rischiò di buttare in terra Leontina. Poi puntò la torcia e illuminò intorno. In basso, dietro un angolo scuro di una stradina, vide scodinzolare la coda nera della sua gatta. Si avvicinò e si abbassò per prenderla di sorpresa.
«Ti ho presa, finalmente, birbona e girellona d’una gatta!».
Mentre l’acchiappava sollevò gli occhi e lanciò un grido di terrore.
«AAAHHH!!!».
Leontina non resse all’urlo di terrore. Fu colpita da un malore e stramazzò a terra.
Il corpo di un uomo, immobile, era disteso sulla strada a faccia in su. In terra, accanto al corpo, c’erano un cappello, un paio di occhiali neri e un bastone bianco da cieco ancora stretto nella mano destra. Un rivolo di sangue dietro la testa faceva capire che per lui non c’era più niente da fare.
La Polizia fu avvertita subito e dopo un po’ tutti gli addetti ai lavori furono sul posto, anche gli uomini della Polizia Municipale con il loro comandante Cherubini.
«Buonasera, Cantagallo» fece il comandante quando vide arrivare il commissario. «Un delitto orribile. Ma come si fa ad ammazzare un uomo cieco? Una rapina andata male?».
«Buonasera, Cherubini» scuotendo il capo. «Proprio una brutta vicenda. Rapina? Forse».
In quel mentre arrivò anche la vice, la dottoressa Turchi.
«Che è successo?».
«Hanno ucciso un uomo, un cieco. Forse a scopo di rapina, ma è troppo presto per dirlo».
«Un cieco?».
«Sì, un cieco. Anche stavolta ha scoperto tutto la Brogioni mentre cercava la sua gatta».
«Ma è incredibile! Allora, è davvero la “signora Omicidi” di
Collitondi!».
«Lasciamo perdere i gialli e stiamo coi piedi per terra. Stavolta la Brogioni non era sola. Con lei c’era un’amica, una certa Leontina Agnorelli. Ha avuto un lieve malore e poi si è rimessa in sesto con l’aiuto della Brogioni. Le due donne non hanno visto nulla e non possono esserci d’aiuto. Coincidenze a parte, aspettiamo quelli della Scientifica e il resoconto di Stroncapettini. A quelli della Municipale ho detto di tenere lontano i curiosi. Mi faccia il solito favore di avvertire i familiari della vittima e di far perimetrare l’area, come al solito».
I colleghi di Cantagallo non tardarono ad arrivare.
Quelli della Scientifica arrivarono poco dopo da Castronuovo. Stroncapettini, il medico legale, dette un saluto di sfuggita a Cantagallo e poi si mise all’opera sul cadavere dell’uomo.
«Ciao, Angelo» disse scocciato il medico. «Mi raccomando. Finché non ho finito, non voglio tra i piedi Razzo e Bandino che pesticciano sempre intorno come degli avvoltoi. Quando ho finito vi faccio un fischio! Capito?».
«Capito, Paolo» rispose asciutto Cantagallo che poi aggiunse. «Ma che ti girano i coglioni?».
«Sì! E allora? Non mi possono girare i coglioni? Sabato notte, a Castronuovo fuori da una discoteca, un ubriaco ha spaccato la testa a un ragazzo per un apprezzamento pesante alla sua donna. Domenica mattina, una donna irriconoscibile è stata trovata morta da qualche giorno in un fosso lungo la strada fuori Castronuovo. Lunedì sera, una casalinga ha accoltellato il marito perché non le ha fatto vedere una fiction. Stasera, sono alla fine di una cena fra ex universitari e mi piomba fra capo e collo questo morto ammazzato e cieco, per giunta! E tu mi chiedi se mi girano i coglioni?».
«In effetti» annuiva Cantagallo «una bella settimana piena».
Stroncapettini sparì dietro l’angolo e dopo una ventina di minuti era di ritorno.
Si chinò per passare sotto il nastro bianco e rosso che delimitava l’area del delitto, si tolse i guanti in lattice. Quello era il segnale che aveva finito ed era pronto a riferire a Cantagallo quello che aveva visto.
«C’è poco da dire. La vittima è un uomo cieco di statura media, capelli brizzolati e occhi castani, età poco più di settanta anni, ucciso per i numerosi colpi ricevuti sul corpo e per una botta riportata dietro la testa a causa dell’impatto violento contro il muro della strada. Il muro è sporco di sangue nel punto in cui c’è stato l’impatto con la testa. L’uomo è stato picchiato violentemente. Sono presenti degli ematomi in tutto il corpo dovuti probabilmente ai violenti colpi inferti dall’aggressore. I colpi sono stati portati anche con un corpo contundente, forse una spranga di ferro. Non escludo che l’aggressore abbia inferto dei calci alla vittima quando era già a terra. Da un esame sommario del corpo e delle mani della vittima si nota l’assenza di residui di qualsiasi tipo sotto le unghie. Niente in bocca. L’uomo è morto in seguito a una violenta aggressione. Per me, chi ha aggredito l’uomo voleva ucciderlo. Saprò essere più preciso dopo l’autopsia, come sempre».
Il dottor Baglioni, con la parlantina degna di uno dei migliori avvocati del Foro castrese, aveva così refertato il cadavere dell’uomo ucciso.
«Grazie, Paolo. Il tempo di fare i nostri rilievi e ti lascio rientrare».
«Prego, Angelo» rispose più cordiale il medico. «Scusa per prima, ma a volte mi scappa la pazienza dalle mani».
«Che ci vuoi fare, non hai più vent’anni e l’età c’è».
«Che vuoi dire? Che sono rincoglionito?!».
«Io?! E chi l’ha detto? L’hai detto tu!».
«Lasciamo perdere, sennò mi comprometto. Allora, siccome non ho più vent’anni, sbrigati a fare quello che devi fare perché come tutti gli anziani ho l’abitudine di rientrare presto a casa».
Quel delitto non si presentava semplice per il commissario Cantagallo: nessun testimone e niente arma del delitto. Le uniche informazioni conosciute riguardavano l’uomo ucciso, per il resto buio pesto. Bandino e Razzo avevano riferito tutto quello che avevano trovato addosso all'uomo ucciso nella perquisizione del corpo. La famiglia fu avvertita dalla vice di recarsi sul posto e il dolore dei familiari fu straziante. Nessuno di loro riusciva a capire perché fosse stato ucciso. "
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