Il commissario Cantagallo è un poliziotto di periferia, non è un tipo da città a sentire lui. Preferisce le cose semplici e genuine, nella vita, in famiglia e pure a tavola. Cantagallo è un amante della buona tavola e, insieme ai
suoi colleghi, il giorno mangia al ristorante Attanasio di Collitondi e dopo
pranzo fa una passeggiata digestiva lungo gli argini del fiume Marna
insieme a Bandino e a Razzo che mangiano sempre con lui a pranzo. Tutti e
tre fanno il solito giro lungo la strada pedonale che costeggia il
fiume Marna dal ponte Pertini al ponte Berlinguer, in direzione della
località Malvoni, per poi rientrare nel centro del paese dove si trova
il commissariato. Cantagallo ha un debole anche per certi dolci e per
lui sono una vera e propria delizia i bomboloni della “Pasticceria
napoletana Pipitone”, nel centro del paese. Al commissario Cantagallo
piace passeggiare lungo il fiume Marna e poi fermarsi a sedere su una
delle panchine che si trovano lungo l’argine, vicino all’ombra di alcune
robinie, per ragionare a proposito della soluzione di un caso
particolarmente complicato; è affascinato dalla bellezza della natura e
ama contemplare le bellezze naturali della campagna collitondese durante
le sue passeggiate
Complicato è il rapporto di Cantagallo con il Questore Vittorio Fumi Zondadari e con il suo vicario Raffaele Bonadonna.
Cantagallo non sopporta gli interrogatori dove devono essere sentite molte persone e in questi casi delega le audizioni alla sua vice Nicoletta; solo successivamente, quando la sua vice ha già fatto la prima scrematura, si decide ad interrogare i singoli testimoni per ascoltare quanto hanno da dire. Cantagallo non sopporta nemmeno il “Palio dei somari” perché è la delizia del Questore Zondadari e questo è un altro elemento che contribuisce a deteriorare i rapporti fra il commissario e il Questore.
Cantagallo non sopporta il Questore che cita sempre delle frasi latine e che è sempre impegnato con il “Palio dei somari” della città di Castronuovo. Il commissario Cantagallo ama i proverbi, con particolare interesse per quelli toscani, perché sono il frutto semplice della saggezza antica dei nostri nonni e fanno parte del patrimonio di una cultura popolare che non deve essere dimenticata. Non è assolutamente vero che parla in dialetto. Solo un piccolo accenno di dialetto, ma è nella natura umana di ogni toscano. E’ fermamente convinto che in ogni frase latina sia nascosto il vero significato delle cose, mentre in ogni proverbio si nasconde una piccola verità. Per il commissario, i proverbi sono stati ed sono ancora oggi la saggezza dei popoli. I proverbi fanno parte di un grande patrimonio, formato dal dialetto, dalla mentalità, dalle tradizioni popolari e tante altre cose ancora. In breve, da quella che può essere definita come la cultura popolare. Tale cultura è generalmente tramandata dagli uomini ai propri discendenti e per molti secoli i proverbi sono stati, probabilmente, l’unica scuola per decine di generazioni di nostri antenati. Attraverso di essi si tramandano le usanze, le abitudini, la visione del mondo, si comunicavano le regole della morale e del comportamento nella vita di tutti i giorni. I proverbi, spesso, sono utilizzati, in senso umoristico, per indicare certi caratteri umani e molte volte con il loro utilizzo si sanciscono delle vere e proprie consuetudini di vita sociale che finiscono per diventare costume. I proverbi contengono i consigli più disparati su qualsiasi argomento e per qualsiasi circostanza della vita. I proverbi e certe espressioni verbali permettono di comprendere molti aspetti del carattere e della storia non scritta dei nostri vecchi. Attraverso i proverbi e i modi di dire, si riesce a scoprire il volto più autentico dei nostri antenati. Si può capire meglio, le ragioni di molti nostri modi di essere e della nostra identità di popolo, con comportamenti particolari che ben identificano e che differenziano gli abitanti diversi dei paesi vicini. Per tutte queste ragioni, per il commissario Cantagallo i proverbi sono un patrimonio culturale di tutti e devono essere salvaguardati.
La citazione latina, per Cantagallo, appartiene al passato, non appartiene al modo di parlare della gente comune. Manifesta una sorta di distacco con le persone semplici e umili, segna la distanza fra “il dire” e “il fare”. Rappresenta, per certi personaggi incompetenti, l’ultimo baluardo per giustificare un nulla di fatto, per offuscare un fatto evidente, per rendere fumosa una spiegazione che non esiste. Cantagallo, nei sui colloqui con il Questore Zondadari, subito, non capisce mai bene la frase latina che il Questore gli ha detto. Poi, quando è a casa, con l’aiuto di sua moglie e sforzandosi di ricordare la frase, cerca di tradurla per capirne il vero significato.
Non può essere diversamente: un commissario che è in grado di tradurre i “messaggi” degli oggetti di un’indagine, può non essere in grado di tradurre le frasi di un Questore?
A Cantagallo non piaceva essere al centro
dell'attenzione. Non cercava i grandi scenari delle metropoli cittadine e
tantomeno gli piaceva l’atmosfera pressante di una grande città. Non gli
piaceva nemmeno stare sotto la luce dei riflettori della celebrità. No,
tutt'altro. Voleva solo fare bene il suo lavoro insieme ai colleghi della sua
squadra, la Squadra Omicidi del commissariato di Collitondi, un commissariato
di periferia. Perché lui era un poliziotto di periferia. Voleva starsene alla
periferia per osservare, distaccato e rilassato, cosa accadeva nel centro dove
risplendevano i bagliori della fama e della notorietà. Senza curarsene. Osservava
tutto questo dalla periferia del suo commissariato, semmai non accorgendosi
che, cambiando la visuale del suo punto di osservazione, quel luogo dove si
trovava lui diventava centrale rispetto a tutto il resto che lo circondava. Ed
era proprio questa centralità acquisita che lo poneva all’attenzione della
gente che lo stimava come una persona perbene e lo considerava tale, prima
ancora come uomo che come poliziotto.
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