In questa indagine il commissario Cantagallo scende in Sicilia, ma c'è una ragione precisa. Sua moglie Iolanda è siciliana e possiede sempre la casa dei genitori in un piccolo paese dell'entroterra proprio in mezzo all'isola. Allora i Cantagallo, più o meno tutti gli anni a settembre, trascorrono alcuni giorni nell'isola più bella e affascinante del nostro Paese facendosi una bella vacanza a costo zero o quasi. Però talvolta capita che un amico carabiniere di Cantagallo, il maresciallo Rosario "Saro" Bompensiere che è pure paesano della moglie, gli domandi aiuto per risolvere certi casi di delitti che sono avvenuti in paese o nelle contrade vicine. Bompensiere è una persona intelligente e scaltra, ma non è un uomo da Squadra Omicidi. Quindi approfitta della presenza del poliziotto toscano per farsi dare una mano a risolvere i casi che gli si presentano. Cantagallo non si fa pregare perché non può negare un favore all'amico carabiniere. In questa indagine dovrà stabilire cosa sia successo nella tragica morte di un un impiegato di banca trovato morto ammazzato in un'auto dentro un boschetto. Tutti pensano a un delitto di mafia oppure di delinquenza comune a scopo di rapina, ma le cose non stanno così come sembrano e Cantagallo se ne accorge immediatamente.
Ricordo che il giallo è stato ideato prendendo lo spunto da un fatto realmente accaduto a mio nonno paterno Giulio Marazzoli quando era maresciallo dei Carabinieri e nei primi anni del 1900 svolgeva il servizio in una Stazione di Carabinieri in un piccolo paese della Sicilia.
Qui sotto un estratto.
"Il maresciallo Bompensiere raccontò a Cantagallo che un giovedì di un paio di settimane prima, all’interno di un’auto dentro un boschetto nei pressi di una stradina di campagna vicino a Grammichele, era stato trovato un uomo morto ammazzato con due colpi di pistola sparati nella schiena.
«Guarda, Angelo. Ho conservato il giornale con la notizia del delitto» e gli dette il quotidiano.
Cantagallo osservava la prima pagina mentre Bompensiere continuava a raccontargli i fatti di quell’omicidio.
L’uomo si chiamava Giuseppe Giuffrida, “Pino” per gli amici. Lavorava in una banca a Catania, la Banca del Piccolo Credito Catanese, era scapolo e abitava con i suoi genitori a San Rocco. I colpi erano stati esplosi da una distanza ravvicinata. L’uomo sembrava che fosse stato ucciso a scopo di rapina perché gli avevano rubato il portafoglio e strappato la catena d’oro che portava al collo. L’arma del delitto non era stata trovata dai Carabinieri. Il maresciallo Bompensiere aveva guardato nel cruscotto dell’auto, che era di proprietà del Giuffrida, e aveva trovato solo una carta automobilistica della Sicilia, un corno rosso porta fortuna, i documenti dell’auto e una piccola guida turistica di Grammichele intitolata “Il barone di Occhiolà”.
Nessun’altro oggetto, indizio, traccia era stata trovata sul luogo del delitto. Bompensiere, con cautela, aveva insacchettato e custodito tutti gli oggetti che a suo parere erano interessanti, come da sempre gli consigliava Cantagallo. L’auto del Giuffrida era stata trasportata da un carro attrezzi nel garage della Stazione dei Carabinieri di San Rocco in attesa dei colleghi della Sezione Scientifica di Catania che dovevano rilevare le impronte digitali presenti sul luogo del crimine e nell’auto.
I Carabinieri di Grammichele, con una scusa, gli avevano appioppato l’indagine perché la zona dove era stato trovato il morto era più vicina al comune di San Rocco che a quello di Grammichele. In più il morto era di San Rocco e quindi dovevano essere i Carabinieri di San Rocco a occuparsene. La morale era che i Carabinieri di Grammichele non erano competenti per quel delitto. Ovvero: i Carabinieri di Grammichele erano “incompetenti” per quel delitto perché non sapevano che pesci pigliare.
La Procura provinciale ci aveva messo pure il bollo tondo e tramite il Sostituto Procuratore Salvatore Marturana aveva suggerito al maresciallo Bompensiere di occuparsene per ragioni di “opportunità”. Marturana era riuscito a convincere Bompensiere che era “opportuno” indagare, almeno per salvare la faccia alla Procura.
Bompensiere era un maresciallo coscienzioso, preciso e intelligente che non mollava mai un’indagine. Era più giovane di Cantagallo. Alto uguale, ma più corpulento, col viso tondo, capelli neri pettinati all’indietro e un paio di baffi, anche quelli neri, tipicamente “siciliani”. Viveva con la moglie e i tre figli a Capobianco. Da alcuni anni era il comandante della Stazione dei Carabinieri di San Rocco Etneo, in provincia di Catania. Aveva poca esperienza per i delitti, ma possedeva un fiuto innato per stanare i delinquenti comuni.
Per il Procuratore Marturana, probabilmente, si trattava del solito delitto compiuto da cani sciolti della mafia locale ai danni di un onesto cittadino che passava di lì per puro caso. Gli assassini, e di questo Marturana ne era sicurissimo, si erano dileguati nelle campagne senza lasciare traccia, com’era capitato in tanti altri delitti simili accaduti nella regione. Le lunghe mani della mafia, e questa era l’altra convinzione granitica di Marturana, erano dappertutto e si erano, senza ombra di dubbi, allungate anche su quel delitto. La prossima settimana, se non ci fossero stati dei fatti nuovi, Marturana avrebbe archiviato l’omicidio come “delitto a scopo di rapina maturato nell’ambiente della malavita comune commesso da mafiosi locali che si sono dati alla macchia eludendo l’arresto da parte delle Forze dell’Ordine”.
Infatti, Marturana era sicuro che tutti i reati che avvenivano nella provincia fossero opera dei mafiosi locali e su questo tasto non transigeva. Era così e basta. E ce ne volevano delle buone e delle belle da parte del maresciallo Bompensiere per ricondurre Marturana alla realtà. Tutte le volte doveva ripetergli il fatto che, fino a quel momento, nessun reato era stato mai compiuto da questi famigerati “mafiosi locali”. Anche perché in quelle zone non si erano mai visti. Ma Marturana replicava sempre dicendo: “E lei, maresciallo Bompensiere, crede forse che i mafiosi si facciano vedere?”, con una voce stridula da gallina strozzata."
«Guarda, Angelo. Ho conservato il giornale con la notizia del delitto» e gli dette il quotidiano.
Cantagallo osservava la prima pagina mentre Bompensiere continuava a raccontargli i fatti di quell’omicidio.
L’uomo si chiamava Giuseppe Giuffrida, “Pino” per gli amici. Lavorava in una banca a Catania, la Banca del Piccolo Credito Catanese, era scapolo e abitava con i suoi genitori a San Rocco. I colpi erano stati esplosi da una distanza ravvicinata. L’uomo sembrava che fosse stato ucciso a scopo di rapina perché gli avevano rubato il portafoglio e strappato la catena d’oro che portava al collo. L’arma del delitto non era stata trovata dai Carabinieri. Il maresciallo Bompensiere aveva guardato nel cruscotto dell’auto, che era di proprietà del Giuffrida, e aveva trovato solo una carta automobilistica della Sicilia, un corno rosso porta fortuna, i documenti dell’auto e una piccola guida turistica di Grammichele intitolata “Il barone di Occhiolà”.
Nessun’altro oggetto, indizio, traccia era stata trovata sul luogo del delitto. Bompensiere, con cautela, aveva insacchettato e custodito tutti gli oggetti che a suo parere erano interessanti, come da sempre gli consigliava Cantagallo. L’auto del Giuffrida era stata trasportata da un carro attrezzi nel garage della Stazione dei Carabinieri di San Rocco in attesa dei colleghi della Sezione Scientifica di Catania che dovevano rilevare le impronte digitali presenti sul luogo del crimine e nell’auto.
I Carabinieri di Grammichele, con una scusa, gli avevano appioppato l’indagine perché la zona dove era stato trovato il morto era più vicina al comune di San Rocco che a quello di Grammichele. In più il morto era di San Rocco e quindi dovevano essere i Carabinieri di San Rocco a occuparsene. La morale era che i Carabinieri di Grammichele non erano competenti per quel delitto. Ovvero: i Carabinieri di Grammichele erano “incompetenti” per quel delitto perché non sapevano che pesci pigliare.
La Procura provinciale ci aveva messo pure il bollo tondo e tramite il Sostituto Procuratore Salvatore Marturana aveva suggerito al maresciallo Bompensiere di occuparsene per ragioni di “opportunità”. Marturana era riuscito a convincere Bompensiere che era “opportuno” indagare, almeno per salvare la faccia alla Procura.
Bompensiere era un maresciallo coscienzioso, preciso e intelligente che non mollava mai un’indagine. Era più giovane di Cantagallo. Alto uguale, ma più corpulento, col viso tondo, capelli neri pettinati all’indietro e un paio di baffi, anche quelli neri, tipicamente “siciliani”. Viveva con la moglie e i tre figli a Capobianco. Da alcuni anni era il comandante della Stazione dei Carabinieri di San Rocco Etneo, in provincia di Catania. Aveva poca esperienza per i delitti, ma possedeva un fiuto innato per stanare i delinquenti comuni.
Per il Procuratore Marturana, probabilmente, si trattava del solito delitto compiuto da cani sciolti della mafia locale ai danni di un onesto cittadino che passava di lì per puro caso. Gli assassini, e di questo Marturana ne era sicurissimo, si erano dileguati nelle campagne senza lasciare traccia, com’era capitato in tanti altri delitti simili accaduti nella regione. Le lunghe mani della mafia, e questa era l’altra convinzione granitica di Marturana, erano dappertutto e si erano, senza ombra di dubbi, allungate anche su quel delitto. La prossima settimana, se non ci fossero stati dei fatti nuovi, Marturana avrebbe archiviato l’omicidio come “delitto a scopo di rapina maturato nell’ambiente della malavita comune commesso da mafiosi locali che si sono dati alla macchia eludendo l’arresto da parte delle Forze dell’Ordine”.
Infatti, Marturana era sicuro che tutti i reati che avvenivano nella provincia fossero opera dei mafiosi locali e su questo tasto non transigeva. Era così e basta. E ce ne volevano delle buone e delle belle da parte del maresciallo Bompensiere per ricondurre Marturana alla realtà. Tutte le volte doveva ripetergli il fatto che, fino a quel momento, nessun reato era stato mai compiuto da questi famigerati “mafiosi locali”. Anche perché in quelle zone non si erano mai visti. Ma Marturana replicava sempre dicendo: “E lei, maresciallo Bompensiere, crede forse che i mafiosi si facciano vedere?”, con una voce stridula da gallina strozzata."
Il giallo "LA DONNA COL MEDAGLIONE" è un giallo in ebook e cartaceo pubblicato da Cristian Cavinato della Casa editrice Cavinato Editore International di Brescia e lo potete trovare in tutte le librerie online. Qui sotto trovate i link della libreria IBS.it.
https://www.ibs.it/donna-col-medaglione-ebook-fabio-marazzoli/e/9788869822155
https://www.ibs.it/donna-col-medaglione-indagini-del-libro-fabio-marazzoli/e/9788869823343
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