Un'indagine dove il commissario Cantagallo è messo a dura prova perché deve contrastare un terribile omicida che si muove nell'oscurità.
A pensarci bene, cos'era l'oscurità? L’oscurità era tutto un trucco della notte per camuffare le magagne della realtà che erano illuminate dalla luce del giorno. Infatti, la luce faceva risaltare i difetti delle cose, mentre l’oscurità li sapeva ben occultare, celando pecche, manchevolezze e altri guasti non visibili nel buio. Al commissario Cantagallo non piaceva la notte, il buio in particolare. Nell’oscurità si annidavano i criminali: era un dato di fatto conosciuto da tutti, anche da chi non fosse un poliziotto come lui. Nel buio, i delinquenti si sentivano autorizzati a compiere furti e delitti, come se quella cappa oscura li avvolgesse, li proteggesse, nascondendoli alla vista. La notte era una specie di lasciapassare per coloro che del crimine ne avevano fatta una scelta di vita e l’oscurità diventava una sorta di maschera, dietro la quale si nascondevano i criminali per agire indisturbati. La sua repulsione nei confronti della notte non era una deformazione professionale, ma una vera e propria avversione naturale.
Proprio in quell'oscurità riuscirà a sapere chi è stato a commettere quel brutale assassinio di un uomo cieco inerme, la cui unica colpa era quella di essere stato individuato come persona che doveva pagare un errore con la propria vita. E stavolta ad aiutare il commissario Cantagallo sarà un altro uomo diventato cieco.
Qui sotto un estratto.
"Mentre stava per prendere sulla sinistra la strada in salita che lo avrebbe riportato verso il centro del paese, la voce di un uomo lo bloccò.
«Commissario! Commissario Cantagallo! Aspetti un attimo. Le devo parlare».
Cantagallo si voltò e vide che lo stava chiamando l’uomo cieco che prima sedeva nella seconda fila. Tornò indietro sui propri passi e gli si avvicinò.
Il cieco lo stava aspettando in piedi poco fuori del bar, con la mano destra si teneva al bastone bianco e con l’altra si appoggiava al muro esterno della struttura.
«Buongiorno» disse Cantagallo.
«Buongiorno, commissario» rispose l’altro.
L’uomo aveva circa settanta anni ed era alto un po’ più del commissario. Fisico asciutto, non robusto, con i capelli bianchi non troppo lunghi pettinati un po’ all’indietro, indossava un giubbotto grigio da mezza stagione. Era un uomo distinto e curato nell’aspetto. Un paio di semplici occhiali neri e un bastone bianco da cieco facevano capire la situazione di quell’uomo anziano.
«Le devo parlare, commissario. Mi chiamo Faro, Faro Ceccarelli e non sono nato cieco, lo sono diventato per un fatto di malasanità. Alcuni anni fa, l’errore di un dottorino durante l’intervento agli occhi per una semplice cataratta provocò una terribile infezione che mi ha reso cieco per tutta la vita. “Stia tranquillo, signor Ceccarelli, per l’operazione alla cataratta. Oggi è diventata un’operazione ambulatoriale”, così mi aveva detto quel dottorino che mi doveva operare. Quando è successo l’incidente agli occhi ero da poco in pensione. Ero un impiegato di una filiale della banca MPR, la banca della Maremma e del Piccolo Risparmio di Castronuovo. Aspettavo la pensione come il momento per dedicarmi completamente alla famiglia. Poi, è successo quello che è successo e la mia vita è cambiata».
«La capisco, signor Ceccarelli, e mi dispiace, ma le indagini sulla malasanità non sono eseguite dal mio commissariato. Dovrebbe rivolgersi…».
«Lo so, lo so, commissario» fece in modo garbato il signor Ceccarelli, interrompendolo. «E mi scusi se l’ho interrotta. Purtroppo, sono tutte cose che conosco. Sono passati ormai tanti anni da quando è accaduto e ancora non è stato risolto nulla. La Giustizia, in questi casi, è lenta a fare il suo corso e sono sempre in attesa del primo processo. Ma non volevo parlarle di questo. Le volevo fare un discorso e poi dirle il vero motivo per cui le ho chiesto di fermarsi».
La voce del signor Ceccarelli che prima era forte e decisa, si era fatta debole e tremante. Fece una piccola pausa, per trovare il coraggio di continuare a parlare. Cantagallo capiva che quel cieco voleva dirgli qualcosa d’importante, sia per l’indagine sia per se stesso. Forse il cieco voleva confidare a quel poliziotto un proprio pensiero che teneva custodito da molto tempo. Quell’uomo cieco sentiva che quel semplice poliziotto di paese era un brav’uomo. Un commissario capace di ascoltare la gente, ma anche in grado di osservare e di comprendere le persone che aveva di fronte a sé.
«Dica pure, signor Ceccarelli. Sono a sua disposizione».
«Lei, commissario, è una brava persona. L’ho capito subito quando l’ho sentita parlare. Persone come lei, ce ne sono poche. Volevo trovare una persona come lei per raccontare questa cosa che tengo dentro da tanto tempo. Io non ero cieco, lo sono diventato. Io vedevo e ora non vedo più. E volevo dire alle altre persone, che vedono e che non sono cieche come me, che anche da ciechi non si sta poi tanto male. A questo mondo ci sono malattie molto più brutte, che ti tolgono l’uso delle gambe, delle braccia, del cervello, che ti rubano gli affetti, che ti rubano la vita e non la vista. Ci tenevo a dirlo perché in questo mondo di oggi, dove tanti valori della società e della famiglia stanno scomparendo, occorre dire ai giovani le cose come stanno. Occorre fare capire che un uomo cieco come me, se ha il sostegno della propria famiglia e di amici veri, non ha niente da temere e niente gli può fare paura. Non si deve aver paura di essere ciechi. La mia famiglia mi ha sempre dato una mano e gli amici veri non mi hanno mai abbandonato, non mi hanno mai perso di vista. Uno di questi era Beppe, come lo chiamavo io, il povero Giuseppe Mecacci, che fin dal primo momento dell’incidente agli occhi mi era stato accanto. Beppe mi era stato sempre vicino, dicendomi di non disperare. Mi faceva forza e mi diceva di non mollare, soprattutto per mia moglie e i miei figli. Lui, proprio lui, che cieco fin dalla nascita non aveva mai potuto vedere la luce del sole, il colore del cielo, i riflessi del mare e nemmeno il colore della notte. Sì, proprio così commissario Cantagallo, la notte ha un proprio colore. Io le dico questo perché prima vedevo e dopo ho notato la differenza che c’è fra il buio totale che accompagna un cieco nella sua vita e l’oscurità che avvolge un luogo a notte fonda. Le sembrerà strano, commissario, ma il buio che vede un cieco è diverso dall’oscurità che una persona normale può osservare nella notte. Il mio amico mi diceva che sarei riuscito a vedere oltre quel buio fitto che mi avrebbe circondato per il resto della mia vita, che avrei visto dove altri, non ciechi come me, non avrebbero mai potuto o voluto vedere. E così è stato. Questa è la mia storia, commissario, e questo è quello che volevo dirle prima di parlarle di quella sera maledetta».
Cantagallo aveva ascoltato attentamente le parole di quell’uomo. Parole che manifestavano una grande tristezza per la condizione di una persona che era diventata cieca per un errore di malasanità. Parole che dovevano essere d’esempio per tutti quelli che, non ciechi come lui, erano insoddisfatti della loro vita di tutti i giorni e che si lamentavano di condurre una vita normale fatta di cose semplici, come semplice era il fatto di vedere.
«Non volevo rattristarla troppo, commissario. Ma ci tenevo perché lei lo sapesse. Ora le devo dire quello che è successo la sera in cui è stato ucciso Beppe»."
«Commissario! Commissario Cantagallo! Aspetti un attimo. Le devo parlare».
Cantagallo si voltò e vide che lo stava chiamando l’uomo cieco che prima sedeva nella seconda fila. Tornò indietro sui propri passi e gli si avvicinò.
Il cieco lo stava aspettando in piedi poco fuori del bar, con la mano destra si teneva al bastone bianco e con l’altra si appoggiava al muro esterno della struttura.
«Buongiorno» disse Cantagallo.
«Buongiorno, commissario» rispose l’altro.
L’uomo aveva circa settanta anni ed era alto un po’ più del commissario. Fisico asciutto, non robusto, con i capelli bianchi non troppo lunghi pettinati un po’ all’indietro, indossava un giubbotto grigio da mezza stagione. Era un uomo distinto e curato nell’aspetto. Un paio di semplici occhiali neri e un bastone bianco da cieco facevano capire la situazione di quell’uomo anziano.
«Le devo parlare, commissario. Mi chiamo Faro, Faro Ceccarelli e non sono nato cieco, lo sono diventato per un fatto di malasanità. Alcuni anni fa, l’errore di un dottorino durante l’intervento agli occhi per una semplice cataratta provocò una terribile infezione che mi ha reso cieco per tutta la vita. “Stia tranquillo, signor Ceccarelli, per l’operazione alla cataratta. Oggi è diventata un’operazione ambulatoriale”, così mi aveva detto quel dottorino che mi doveva operare. Quando è successo l’incidente agli occhi ero da poco in pensione. Ero un impiegato di una filiale della banca MPR, la banca della Maremma e del Piccolo Risparmio di Castronuovo. Aspettavo la pensione come il momento per dedicarmi completamente alla famiglia. Poi, è successo quello che è successo e la mia vita è cambiata».
«La capisco, signor Ceccarelli, e mi dispiace, ma le indagini sulla malasanità non sono eseguite dal mio commissariato. Dovrebbe rivolgersi…».
«Lo so, lo so, commissario» fece in modo garbato il signor Ceccarelli, interrompendolo. «E mi scusi se l’ho interrotta. Purtroppo, sono tutte cose che conosco. Sono passati ormai tanti anni da quando è accaduto e ancora non è stato risolto nulla. La Giustizia, in questi casi, è lenta a fare il suo corso e sono sempre in attesa del primo processo. Ma non volevo parlarle di questo. Le volevo fare un discorso e poi dirle il vero motivo per cui le ho chiesto di fermarsi».
La voce del signor Ceccarelli che prima era forte e decisa, si era fatta debole e tremante. Fece una piccola pausa, per trovare il coraggio di continuare a parlare. Cantagallo capiva che quel cieco voleva dirgli qualcosa d’importante, sia per l’indagine sia per se stesso. Forse il cieco voleva confidare a quel poliziotto un proprio pensiero che teneva custodito da molto tempo. Quell’uomo cieco sentiva che quel semplice poliziotto di paese era un brav’uomo. Un commissario capace di ascoltare la gente, ma anche in grado di osservare e di comprendere le persone che aveva di fronte a sé.
«Dica pure, signor Ceccarelli. Sono a sua disposizione».
«Lei, commissario, è una brava persona. L’ho capito subito quando l’ho sentita parlare. Persone come lei, ce ne sono poche. Volevo trovare una persona come lei per raccontare questa cosa che tengo dentro da tanto tempo. Io non ero cieco, lo sono diventato. Io vedevo e ora non vedo più. E volevo dire alle altre persone, che vedono e che non sono cieche come me, che anche da ciechi non si sta poi tanto male. A questo mondo ci sono malattie molto più brutte, che ti tolgono l’uso delle gambe, delle braccia, del cervello, che ti rubano gli affetti, che ti rubano la vita e non la vista. Ci tenevo a dirlo perché in questo mondo di oggi, dove tanti valori della società e della famiglia stanno scomparendo, occorre dire ai giovani le cose come stanno. Occorre fare capire che un uomo cieco come me, se ha il sostegno della propria famiglia e di amici veri, non ha niente da temere e niente gli può fare paura. Non si deve aver paura di essere ciechi. La mia famiglia mi ha sempre dato una mano e gli amici veri non mi hanno mai abbandonato, non mi hanno mai perso di vista. Uno di questi era Beppe, come lo chiamavo io, il povero Giuseppe Mecacci, che fin dal primo momento dell’incidente agli occhi mi era stato accanto. Beppe mi era stato sempre vicino, dicendomi di non disperare. Mi faceva forza e mi diceva di non mollare, soprattutto per mia moglie e i miei figli. Lui, proprio lui, che cieco fin dalla nascita non aveva mai potuto vedere la luce del sole, il colore del cielo, i riflessi del mare e nemmeno il colore della notte. Sì, proprio così commissario Cantagallo, la notte ha un proprio colore. Io le dico questo perché prima vedevo e dopo ho notato la differenza che c’è fra il buio totale che accompagna un cieco nella sua vita e l’oscurità che avvolge un luogo a notte fonda. Le sembrerà strano, commissario, ma il buio che vede un cieco è diverso dall’oscurità che una persona normale può osservare nella notte. Il mio amico mi diceva che sarei riuscito a vedere oltre quel buio fitto che mi avrebbe circondato per il resto della mia vita, che avrei visto dove altri, non ciechi come me, non avrebbero mai potuto o voluto vedere. E così è stato. Questa è la mia storia, commissario, e questo è quello che volevo dirle prima di parlarle di quella sera maledetta».
Cantagallo aveva ascoltato attentamente le parole di quell’uomo. Parole che manifestavano una grande tristezza per la condizione di una persona che era diventata cieca per un errore di malasanità. Parole che dovevano essere d’esempio per tutti quelli che, non ciechi come lui, erano insoddisfatti della loro vita di tutti i giorni e che si lamentavano di condurre una vita normale fatta di cose semplici, come semplice era il fatto di vedere.
«Non volevo rattristarla troppo, commissario. Ma ci tenevo perché lei lo sapesse. Ora le devo dire quello che è successo la sera in cui è stato ucciso Beppe»."
Il giallo "LO SGUARDO NEL BUIO" è un giallo in ebook e cartaceo pubblicato da Cristian Cavinato della Casa editrice Cavinato Editore International di Brescia e lo potete trovare in tutte le librerie online. Qui sotto trovate i link della libreria IBS.it.
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