sabato 7 novembre 2015

Cantagallo e il "consigliere di Giustizia" don Vito Lomonaco

Cantagallo nei gialli di Collitondi entra in contatto con Vito Lomonaco. Il giudice aveva impacchettato e spedito Don Vito al confino per il concorso in reati di mafia compiuti nell’entroterra siciliano. Cantagallo e Don Vito erano entrati subito in sintonia e anche in simpatia, sotto certi punti di vista. I due avevano qualcosa in comune: avevano sposato una siciliana. Questo al Lomonaco bastava e avanzava per entrare in simpatia con il commissario. Don Vito non era un vero e proprio collaboratore di giustizia, ma siccome non la ostacolava, non poteva nemmeno essere un “ostacolatore”. Non gradiva neppure il termine di “collaboratore”, non gli piaceva, anche perché si era sempre dichiarato estraneo a tutti i reati di cui era stato accusato: ”Sono innocente come un caruso”, aveva detto al giudice. Il giudice però aveva stabilito che il “caruso” poteva essere potenzialmente pericoloso nel comune d’origine e aveva deciso di mandarlo in soggiorno obbligato a Collitondi, dove vi abitava da alcuni anni. In questo estratto dal giallo "Un vecchio tappeto persiano" potrete conoscere la personalità del personaggio siciliano ma anche la sua importanza nel dare utili "consigli" al commissario Cantagallo.
Quello che segue è stato estratto dal giallo "Un vecchio tappeto persiano" pubblicato da Cristian Cavinato della Cavinato Editore e lo trovate anche su Bookrepublic al link qui sotto
https://www.bookrepublic.it/book/9788899121303-un-vecchio-tappeto-persiano/

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Nel giro di dieci minuti erano già sotto l’abitazione del Lomonaco.
Il commissario indicò ai colleghi che sarebbe rientrato da solo al commissariato. Uscì dall’auto e suonò il campanello della grande pulsantiera del condominio.
«Chi è?!» dal citofono dell’appartamento rispose una voce d’uomo dal chiaro accento siciliano e dal tono guardingo.
«Amici» rispose asciutto Cantagallo.
«Mih, commissario Cantagallo! Faceste l’improvvisata!» esclamò con un tono cordiale. «Apro subito!».
Il portone si aprì. Cantagallo prese l’ascensore e salì al sesto piano. Fece pochi passi ed era già davanti alla porta chiusa di casa Lomonaco. Don Vito poco dopo aprì.
«Commissario, buongiorno. Se lei viene da me, sta a significare che ci devo dare qualche buono consiglio. Sbagliai?»
«Don Vito, buongiorno. Come al solito non sbagliò.»
Il Lomonaco era un uomo di poco più di cinquanta anni, tarchiato, scuro di carnagione e di capelli: tipicamente siciliano, ma senza baffi. Era sposato e aveva due figli maschi che frequentavano le scuole superiori a Collitondi. Persona mite e pacata, era dotato di una grande capacità di ragionamento di certe circostanze criminali, vista anche la sua esperienza nel “settore”. Era sempre disponibile a ragionare con il commissario sugli episodi criminali: certi argomenti lo facevano rinascere e lo riportavano indietro nel tempo quando svolgeva la sua attività in Sicilia.
«Commissario, si accomodi in salotto» disse il Lomonaco, mentre accompagnava Cantagallo. «Vuole favorire un “bersagliere” oppure un caffè? L’ha fatto mia moglie Maria. È sempre caldo.»
«Grazie, Don Vito. Il caffè no, ma un bersagliere lo prendo volentieri» fece il commissario, sedendosi nel divano.
Il commissario non riusciva a resistere alla tentazione di un “bersagliere”, quando era in casa Lomonaco.

No, non c’era da preoccuparsi: Cantagallo era sempre felicemente sposato e non voleva andare sull’altra sponda!
Il bersagliere era il nome del biscotto tipico siciliano ricoperto di cioccolato che tanto piaceva al commissario. La moglie di Lomonaco nel fare i bersaglieri era insuperabile e poteva dare dei punti a sua moglie Iolanda. Anche la moglie di Cantagallo era siciliana e brava a fare i dolci, ma quelli siciliani non erano il suo forte: preferiva comprarli in pasticceria.

«Come vuole lei. Termino di mangiare e sono da lei, con un bersagliere.»
«Qua sto.»
Poi il Lomonaco girò lo sguardo verso le camere e cambiò il tono della voce.
«Maaariiiaaa! Il commissario Cantagallo arrivò! Muuuòviti in camera!»
«Viiito! Uno scànto mi fai prendere! Altro caffè preparo?»
«Maaariiiaaa! Muta e muuuòviti in camera! Il commissario a posto è!»
Dopo avere dato le disposizioni alla moglie, Don Vito terminò di fare colazione e andò in salotto, pronto a “consigliare” il commissario.
Don Vito in una mano aveva un piccolo vassoio con i bersaglieri abbondantemente ricoperti di cioccolato.
Della moglie Maria non si vedeva neanche l’ombra.
Cantagallo ne prese uno e, dopo averlo assaporato, si preparò a parlare con il Lomonaco che, intanto, si era seduto su una poltrona.
«Le chiedo un consiglio a proposito degli ultimi furti che sono accaduti a Collitondi: quelli nelle case dei signori Trosino e dei signori Contestabile. La merce che è stata rubata è di valore ed è molto particolare, soprattutto i tappeti valgono migliaia d’euro. Ho pensato di sentire lei, vista la sua esperienza…»
«Che starebbe a significare? Che io sarei persona esperta di ricettazione di roba rubata? Starebbe a significare che io sarei persona informata sui furti avvenuti?» esclamò il Lomonaco, alzandosi di scatto dalla poltrona.
Don Vito si era inalberato solo a sentire il commissario che, a parole, lo accostava al mondo della ricettazione della delinquenza comune.
Cantagallo si era dimenticato delle “buone maniere” che doveva usare durante le sue conversazioni con il Lomonaco. Non doveva farsi sfuggire dei verbi che anche lontanamente potessero far pensare che il “consigliere” era stato legato al mondo della malavita comune e tanto meno alla mafia siciliana. Il Lomonaco era molto suscettibile sull’argomento e ostinatamente non voleva cedere sulla linea della non ammissione dei reati di mafia a lui imputati.
«…mi correggo: vista la sua “cultura” di certi episodi del settore. In questo senso, cosa mi consiglia di fare?»
Il Lomonaco, così, si era tranquillizzato e si era rimesso a sedere sulla poltrona.
«Se le cose stanno così e di "cultura" si parla, qualche buono consiglio ce lo posso dare. Devo fare una premessa: in questi furti, i delinquenti comuni non c’entrano una minchia, con rispetto parlando. Mi spiego: tutta l’argenteria è di valore e molti pezzi sono antichi, mentre i tappeti non sono cose che si rubano tutti i giorni. Mi capì, commissario? I tappeti, con rispetto parlando, perché minchia sono stati rubati? Termino: tutto quello che è stato rubato non serve a una minchia. Tutta la roba è riconoscibile, è roba che scotta, difficile da rivendere ai comuni ricettatori. Ai delinquenti comuni non ci penserei. A dei ladri professionisti, nemmeno. Un professionista che si rispetti non avrebbe dato la “lista della spesa” a quei due babbaluci e nemmeno gli avrebbe ammazzati. Gli avrebbe fatto fare il lavoro senza sporcarsi le mani e senza rubare altri oggetti senza valore, come quel tappeto che è stato trovato nel furgone…»
«Ma come fa a sapere certi particolari del furto?»
«Lo ha appena detto lei che sono un uomo di “cultura”.»
«Giusto. Prosegua pure.»
«Le consiglio di informarsi sulle famiglie derubate per sapere da dove vengono gli oggetti di valore rubati. Quelli oggetti “puzzano”.»
«In che senso?»
«Nel senso che ci deve essere qualcosa sotto. Sono furti strani e sfortunati.»
«Sfortunati? Perché?»
«La cosa cambiava se quelle famiglie si fossero fatte proteggere, i ladri non si sarebbero avvicinati.»
«In che senso?»
«Nel senso che con la “polizza famiglia” tutti dormono come carusi e nessuno si fa male.»
«La “polizza famiglia”? Ma di che polizza sta parlando?»
«Della polizza che impedisce di rubare alle famiglie che sono protette da altre famiglie. Il signor Calogero Cabizzi era il titolare dell’agenzia assicurativa Siculiana Assicurazioni per la nostra provincia e mandava i suoi uomini, gli assicuratori, a riscuotere le polizze tutti i mesi.»
«Ho capito» disse Cantagallo, sorridendo «tutto in “famiglia” e nessuno si faceva male!»
«È così, commissario! Tante famiglie erano assicurate e anche commercianti, liberi professionisti e piccole aziende edili. La polizza era una mano santa per tutta quella povera gente.»
Cantagallo ascoltava con molta pazienza quelle frasi senza senso. Ma c’era un limite a tutto. A sentire parlare della fantomatica "polizza famiglia” non ce la fece più e sbottò.
«Ma via, Lomonaco! Ma di che "polizza famiglia” sta parlando? Pensa che io sia venuto qua per farmi prendere per il culo?! Lo sanno tutti che c’era il pizzo sui commercianti della vostra provincia!»
«Che pizzo e pizzo, commissario?! Niente saccio, niente vidi e niente voglio sapere di questo pizzo!» si era agitato il siciliano.
«Non si alteri Lomonaco e stia al suo posto!» lo redarguì deciso il commissario.
Cantagallo, tutte le volte che si arrabbiava col siciliano, passava dal cordiale “Don Vito” al formale “Lomonaco”. 
«E che minchia!»
«Che minchia, un cazzo! Moderi i termini, altrimenti la faccio sbattere in carcere e poi con gli amici degli amici si mette tranquillo.»
Il siciliano si calmò e prosegui con un altro tono.
«I commercianti pagavano la polizza e lavoravano in santa pace. Erano protetti e nessuno si poteva lamentare.»
«Per forza! Sennò ci pensavano gli “assicuratori”.»
«E tutto in regola era.»
«In regola? In regola cosa?!» incalzava il commissario.
«Sissignore, tutto era in regola» si difendeva l’altro. «Era applicato alla lettera l’articolo 53 della Costituzione italiana: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema è informato a criteri di progressività”. Chi aveva più soldi doveva pagare di più.»
«Dicendo questo afferma che è esperto sull’argomento.»
«No, ho solo una buona “cultura”. E da uomo di cultura so che in questi furti ci dovrà sbattere le corna.»
«Staremo a vedere, Lomonaco. Grazie per il consiglio e la saluto.»
«Salutamo.»
 


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