sabato 21 novembre 2015

Cantagallo e l'antiquario di via Buonarroti: Pietro Cappelletti

Nel giallo "Un vecchio tappeto persiano" il commissario Cantagallo fa la conoscenza di un altro personaggio particolare: l'antiquario Cappelletti che ha un negozio di mobili di arte antica vicino al paese. Il Cappelletti addirittura aveva un laboratorio dove riproduceva, con legno antico e non, dei mobili in stile di ottima fattura. Era un grande esperto di mobili d’antiquariato, con una vera passione per le scrivanie dotate di scomparti segreti e di congegni vari. Cantagallo va da lui perché gli era stato detto che poteva avere in negozio dei tappeti del tipo “da preghiera” e che fosse un profondo conoscitore di quel tipo di tappeti. Quello strano delitto era colllegato al misterioso furto di certi tappeti e il commissario sapeva che la chiave di lettura di quell'omicidio era conoscere il vero significato di quei tappeti.
Quello che segue è stato estratto dal giallo "Un vecchio tappeto persiano" pubblicato da Cristian Cavinato della Cavinato Editore International e lo trovate anche su Bookrepublic al link qui sotto
https://www.bookrepublic.it/book/9788899121303-un-vecchio-tappeto-persiano/

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Il Cappelletti era conosciuto come un antiquario che vendeva i mobili a un prezzo più alto rispetto agli altri negozi d’antiquariato del paese. E non era molto simpatico a prima vista. Per tutte queste ragioni Cantagallo non era neanche mai entrato nel suo negozio. Dopo dieci minuti era già arrivato davanti alle grandi vetrine di legno e vetro dell’antiquario dove erano esposti una vecchia madia restaurata e un cassettone importante sormontato da uno specchio antico. Dall’esterno non vide nessuno ed entrò, aprendo la grande porta d’ingresso. Il suono di un campanello posto all’altezza del battente della porta avvertiva il negoziante che era entrato un cliente.
Il commissario fu subito accolto dal sorriso di una signora di una certa età, dall’aspetto giovanile e cordiale, che sopraggiungeva dal fondo del negozio.
«Buonasera. Se posso esserle utile, sono a sua completa disposizione. Guardi pure se nel negozio ci sono degli oggetti che le interessano. Il prezzo è esposto sopra ogni mobile, in genere. Se quello che cerca non è presente nella mostra oppure è già stato venduto, possiamo realizzare il mobile che le interessa su misura e con il legno che preferisce. Ha già in mente qualcosa?»
«Buonasera, signora. Io sono il commissario Cantagallo del commissariato di Collitondi e sono qui per ragioni di servizio.»
La signora rimase un po’ stupita, ma non sembrò affatto preoccupata dalla presenza del commissario nel negozio. Disse che si chiamava Costantina Corsi ed era la moglie dell’antiquario. Si mise a sua disposizione. Cantagallo spiegò che l’antiquario Pescatori gli aveva detto che suo marito poteva dargli delle informazioni riguardo a dei tappeti antichi. La signora rispose che conosceva di vista il Pescatori anche se non sapeva dove avesse il negozio. Non era però convinta che il marito potesse aiutarlo. Comunque gli fece segno di seguirla.
«Venga, commissario, si accomodi. Mio marito è qui dietro nel suo studio e, se sa qualcosa, sarà lieto di darle tutte le informazioni che le occorrono.»
La signora superò una serie d’armadi antichi disposti in fila e poi girò sulla destra in un vano del negozio.
«Pietro, c’è il commissario Cantagallo che vuole delle informazioni sui tappeti antichi. Lo manda l’antiquario Pescatori.»
Lo studio dell’antiquario era ricavato dalla disposizione ad U di una serie di mobili antichi che si ergevano come dei muri della sua stanza-studio. Una lampada d’altri tempi, dall’inconfondibile paralume in vetro colore verde-mela, illuminava il piano centrale di una scrivania molto bella e importante. Tutto intorno la luce soffusa  verdognola della lampada rischiarava i mobili dello studio e dava ancora maggiore importanza a quel piccolo spazio. Creava un’atmosfera particolare che sapeva d’antico. A quella scrivania avremmo potuto benissimo immaginare di vedere seduto un personaggio come lo statista Camillo Benso di Cavour oppure il politico Vincenzo Gioberti.
-Una scrivania come questa neanche Zorro se la potrebbe permettere!- pensò subito il commissario.
Invece chi vi stava seduto era l’antiquario Pietro Cappelletti che dall’aspetto sembrava più anziano della moglie. L’uomo era intento a controllare un orologio da tasca con una lente da orefice calzata all’occhio destro. L’attenzione nel lavoro in cui era impegnato evidenziava delle “rughe d’espressione”, che non andavano d’accordo con il colore nero carboncino intenso della capigliatura. L’antiquario era antico dentro, ma nuovo fiammante fuori. Sentendo le parole della moglie, avvolse con cautela l’orologio in un piccolo panno verde e lo ripose in una scatolina di legno. Si tolse la lente dall’occhio e si alzò dalla sedia per salutare il commissario. Non era innervosito dalla visita improvvisata.
«Buonasera, commissario Cantagallo. Continuerò a guardare quell’orologio più tardi. Prego, si accomodi.»
Nonostante l’apparenza, il commissario si dovette ricredere sull’impressione a prima vista che aveva avuto. Malgrado il suo aspetto poco simpatico, l’antiquario sembrava essere invece gentile nei modi e garbato. Lo accolse con un sorriso cordiale. Forse pensava che volesse acquistare un mobile?
«Buonasera, signor Cappelletti. Vorrei chiederle delle informazioni su certi tappeti orientali.»
«È  interessato all’acquisto?» chiese, con un sorriso spalancato a tutta dentiera.
«No. Si tratta di un’indagine.»
Il sorriso dell’uomo si trasformò in una smorfia dispiaciuta. Non era un possibile acquirente. Cambiò espressione in volto, ritornando ad essere l’antipatico dell’impressione a prima vista. Rimase impalato ad osservare Cantagallo. Lo scrutava con diffidenza, come se avesse davanti un settimino fine ‘800 sospettato di essere taroccato.
La moglie, stupita, si mise a sedere in una delle due belle sedie che fronteggiavano la scrivania. Cantagallo si sedette nell’altra, con molta attenzione. Notò che era una sedia imbottita e dall’aspetto sembrava quasi regale, senz’altro era un oggetto d’antiquariato di gran valore. Era un po’ a disagio in una sedia importante e costosa, si accomodò la giacca e iniziò a spiegare i fatti accaduti. Poi gli fece vedere i fogli delle liste. Gli chiese se poteva dargli delle informazioni anche sui tappeti che erano nell’elenco dei signori Trosino. Illustrò le valutazioni che gli aveva fornito l’antiquario Pescatori e che l’aveva indirizzato da lui come profondo conoscitore di tappeti e soprattutto di quelli “da preghiera”.
Il Cappelletti si tranquillizzò. Assunse un’espressione più gentile. Evidentemente era lusingato dal complimento ricevuto. Si rimise a sedere sulla sedia e iniziò a parlare, mentre osservava i fogli. Ringraziò per il termine lusinghiero del collega Pescatori ma si schernì definendosi un semplice appassionato. Aveva solo una piccola esposizione di tappeti di quel tipo. Non aveva altri tappeti perché in paese non c’erano clienti che potevano pagare certi prezzi. Confermò che quei tappeti erano difficilissimi da vendere. Certamente chi aveva organizzato il furto doveva essere un grande intenditore, uno specialista in furti d’arte, una persona che non c’entrava nulla con l’ambiente di Collitondi. Anche per lui tutti i pezzi rubati erano di grande valore.
«Come la sua scrivania e queste sedie, del resto» osservò Cantagallo.
«Ha ragione. Ma le devo fare una confessione: questi mobili non sono d’antiquariato. La scrivania non è antica, è stata rifatta e modificata nel mio laboratorio con il legno di un portone, fine ottocento primi del novecento, che ho trovato in un vecchio casolare nelle campagne vicino Castronuovo» diceva soddisfatto l’antiquario, mentre batteva le dita della mano sinistra sul fianco dello stesso lato della scrivania.
Cantagallo fece caso al fatto che mentre batteva le dita si sentiva in quel punto un debole suono sordo che non quadrava con la robustezza della scrivania.
Intanto l’antiquario continuava.
«Riprende l’antico modello in mogano della scrivania chiamata “Regina Vittoria”. Come le sedie. Sono di palissandro intarsiato, rifatte rispettando lo stile “Impero” dei primi dell’ottocento.»
Cantagallo era interessato all’argomento, ma doveva finire il suo giro di colloqui per sentire il suo amico iraniano che vendeva tappeti.
Si congedò dall’antiquario e dalla moglie.
Uscì dal negozio a testa bassa e si diresse di gran carriera verso il negozio di tappeti di Abdullah Hassan.


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