Quello che segue è stato estratto dal giallo "Un vecchio tappeto persiano" pubblicato da Cristian Cavinato della Cavinato Editore International e lo trovate anche su Bookrepublic al link qui sotto
https://www.bookrepublic.it/book/9788899121303-un-vecchio-tappeto-persiano/
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Il Cappelletti era conosciuto come un antiquario che vendeva i mobili a un prezzo più alto rispetto agli altri negozi d’antiquariato del
paese. E non era molto simpatico a prima vista. Per tutte queste ragioni
Cantagallo non era neanche mai entrato nel suo negozio. Dopo dieci minuti era
già arrivato davanti alle grandi vetrine di legno e vetro dell’antiquario dove
erano esposti una vecchia madia restaurata e un cassettone importante
sormontato da uno specchio antico. Dall’esterno non vide nessuno ed entrò,
aprendo la grande porta d’ingresso. Il suono di un campanello posto all’altezza
del battente della porta avvertiva il negoziante che era entrato un cliente.
Il commissario fu subito accolto dal sorriso di una signora di una
certa età, dall’aspetto giovanile e cordiale, che sopraggiungeva dal fondo del
negozio.
«Buonasera. Se posso esserle utile, sono a sua completa
disposizione. Guardi pure se nel negozio ci sono degli oggetti che le
interessano. Il prezzo è esposto sopra ogni mobile, in genere. Se quello che
cerca non è presente nella mostra oppure è già stato venduto, possiamo
realizzare il mobile che le interessa su misura e con il legno che preferisce.
Ha già in mente qualcosa?»
«Buonasera, signora. Io sono il commissario Cantagallo del
commissariato di Collitondi e sono qui per ragioni di servizio.»
La signora rimase un po’ stupita, ma non sembrò affatto
preoccupata dalla presenza del commissario nel negozio. Disse che si chiamava
Costantina Corsi ed era la moglie dell’antiquario. Si mise a sua disposizione.
Cantagallo spiegò che l’antiquario Pescatori gli aveva detto che suo marito
poteva dargli delle informazioni riguardo a dei tappeti antichi. La signora
rispose che conosceva di vista il Pescatori anche se non sapeva dove avesse il
negozio. Non era però convinta che il marito potesse aiutarlo. Comunque gli
fece segno di seguirla.
«Venga, commissario, si accomodi. Mio marito è qui dietro nel suo
studio e, se sa qualcosa, sarà lieto di darle tutte le informazioni che le
occorrono.»
La signora superò una serie d’armadi antichi disposti in fila e
poi girò sulla destra in un vano del negozio.
«Pietro, c’è il commissario Cantagallo che vuole delle
informazioni sui tappeti antichi. Lo manda l’antiquario Pescatori.»
Lo studio dell’antiquario era ricavato dalla disposizione ad U di
una serie di mobili antichi che si ergevano come dei muri della sua
stanza-studio. Una lampada d’altri tempi, dall’inconfondibile paralume in vetro
colore verde-mela, illuminava il piano centrale di una scrivania molto bella e
importante. Tutto intorno la luce soffusa
verdognola della lampada rischiarava i mobili dello studio e dava ancora
maggiore importanza a quel piccolo spazio. Creava un’atmosfera particolare che
sapeva d’antico. A quella scrivania avremmo potuto benissimo immaginare di
vedere seduto un personaggio come lo statista Camillo Benso di Cavour oppure il
politico Vincenzo Gioberti.
-Una scrivania come questa neanche Zorro se la potrebbe
permettere!- pensò subito il commissario.
Invece chi vi stava seduto era l’antiquario Pietro Cappelletti che dall’aspetto sembrava più anziano della moglie. L’uomo era intento a
controllare un orologio da tasca con una lente da orefice calzata all’occhio
destro. L’attenzione nel lavoro in cui era impegnato evidenziava delle “rughe
d’espressione”, che non andavano d’accordo con il colore nero carboncino
intenso della capigliatura. L’antiquario era antico dentro, ma nuovo fiammante
fuori. Sentendo le parole della moglie, avvolse con cautela l’orologio in un
piccolo panno verde e lo ripose in una scatolina di legno. Si tolse la lente
dall’occhio e si alzò dalla sedia per salutare il commissario. Non era
innervosito dalla visita improvvisata.
«Buonasera, commissario Cantagallo. Continuerò a guardare
quell’orologio più tardi. Prego, si accomodi.»
Nonostante l’apparenza, il commissario si dovette ricredere
sull’impressione a prima vista che aveva avuto. Malgrado il suo aspetto poco
simpatico, l’antiquario sembrava essere invece gentile nei modi e garbato. Lo
accolse con un sorriso cordiale. Forse pensava che volesse acquistare un
mobile?
«Buonasera, signor Cappelletti. Vorrei chiederle delle
informazioni su certi tappeti orientali.»
«È interessato
all’acquisto?» chiese, con un sorriso spalancato a tutta dentiera.
«No. Si tratta di un’indagine.»
Il sorriso dell’uomo si trasformò in una smorfia dispiaciuta. Non
era un possibile acquirente. Cambiò espressione in volto, ritornando ad essere
l’antipatico dell’impressione a prima vista. Rimase impalato ad osservare
Cantagallo. Lo scrutava con diffidenza, come se avesse davanti un settimino
fine ‘800 sospettato di essere taroccato.
La moglie, stupita, si mise a sedere in una delle due belle sedie
che fronteggiavano la scrivania. Cantagallo si sedette nell’altra, con molta
attenzione. Notò che era una sedia imbottita e dall’aspetto sembrava quasi
regale, senz’altro era un oggetto d’antiquariato di gran valore. Era un po’ a
disagio in una sedia importante e costosa, si accomodò la giacca e iniziò a
spiegare i fatti accaduti. Poi gli fece vedere i fogli delle liste. Gli chiese
se poteva dargli delle informazioni anche sui tappeti che erano nell’elenco dei
signori Trosino. Illustrò le valutazioni che gli aveva fornito l’antiquario
Pescatori e che l’aveva indirizzato da lui come profondo conoscitore di tappeti
e soprattutto di quelli “da preghiera”.
Il Cappelletti si tranquillizzò. Assunse un’espressione più
gentile. Evidentemente era lusingato dal complimento ricevuto. Si rimise a
sedere sulla sedia e iniziò a parlare, mentre osservava i fogli. Ringraziò per
il termine lusinghiero del collega Pescatori ma si schernì definendosi un
semplice appassionato. Aveva solo una piccola esposizione di tappeti di quel
tipo. Non aveva altri tappeti perché in paese non c’erano clienti che potevano
pagare certi prezzi. Confermò che quei tappeti erano difficilissimi da vendere.
Certamente chi aveva organizzato il furto doveva essere un grande intenditore,
uno specialista in furti d’arte, una persona che non c’entrava nulla con
l’ambiente di Collitondi. Anche per lui tutti i pezzi rubati erano di grande
valore.
«Come la sua scrivania e queste sedie, del resto» osservò
Cantagallo.
«Ha ragione. Ma le devo fare una confessione: questi mobili non
sono d’antiquariato. La scrivania non è antica, è stata rifatta e modificata
nel mio laboratorio con il legno di un portone, fine ottocento primi del
novecento, che ho trovato in un vecchio casolare nelle campagne vicino Castronuovo»
diceva soddisfatto l’antiquario, mentre batteva le dita della mano sinistra sul
fianco dello stesso lato della scrivania.
Cantagallo fece caso al fatto che mentre batteva le dita si
sentiva in quel punto un debole suono sordo che non quadrava con la robustezza
della scrivania.
Intanto l’antiquario continuava.
«Riprende l’antico modello in mogano della scrivania chiamata “Regina
Vittoria”. Come le sedie. Sono di palissandro intarsiato, rifatte rispettando
lo stile “Impero” dei primi dell’ottocento.»
Cantagallo era interessato all’argomento, ma doveva finire il suo
giro di colloqui per sentire il suo amico iraniano che vendeva tappeti.
Si congedò dall’antiquario e dalla moglie.
Uscì dal negozio a testa bassa e si diresse di gran carriera verso
il negozio di tappeti di Abdullah Hassan.
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