Quello che segue è stato estratto dal giallo "Un vecchio tappeto persiano" pubblicato da Cristian Cavinato della Cavinato Editore e lo trovate anche su Bookrepublic al link qui sotto
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Attraversarono il ponte di legno e s’incamminarono lungo il solito
percorso della pista ciclabile in direzione del Campino, verso la località
Malvoni.
Cantagallo era pensieroso e silenzioso: senz’altro stava
rimuginando quello che poco prima aveva detto la vice a proposito dei signori
Marinoni. Quel particolare comportamento del commissario non sfuggì alla vice
che ruppe il silenzio.
«Come mai sta tutto zitto?! C’è qualcosa che non le torna su
quello che hanno detto i signori Marinoni?»
«Sì, non mi torna quello che ha detto la Bernardeschi. Stavo
ragionando sulla vecchia situazione finanziaria della sua famiglia e, in
particolare, sui “pezzi di famiglia”.»
«In che senso?» chiese Bandino.
«Nel senso che la Bernardeschi è una persona che ha bisogno di
soldi per sanare certe situazioni economiche del vecchio mobilificio dei
genitori e probabilmente si può trovare in difficoltà per far fronte a certi
pagamenti. È stata lei, dottoressa, a riferire che i Trosino e i Contestabile
le hanno detto che hanno acquistato tutti gli oggetti di valore messi all’asta
dalla famiglia Bernardeschi. Quindi mi domando e dico: se tutti gli oggetti di
valore sono già stati venduti dai Bernardeschi, come fa la Bernardeschi a
vendere altri oggetti preziosi rimasti per pagare i creditori del mobilificio?»
nel fare questa domanda, il commissario guardò che ora era al suo orologio da
polso. Era già tardi, ma voleva continuare a parlare dell’indagine con i suoi
colleghi, lungo il fiume. «Oggi, se va bene anche a voi, facciamo il “giro
lungo”. Preferisco ragionare dell’indagine all’aria aperta piuttosto che
nell’ufficio.»
I colleghi rimasero in silenzio. Per il commissario era il segnale
del tutto bene, si poteva proseguire a passeggiare.
«Poi c’è un altro fatto che ci ha riferito lei, dottoressa. Ci ha
detto che la Bernardeschi, all’epoca del fallimento del mobilificio, ha venduto
la maggioranza degli oggetti di valore e che qualche “pezzo di famiglia”
rimasto è venduto, di tanto in tanto, per sistemare certe situazioni pendenti
con i vecchi creditori. Allora, mi domando e vi ridico: gli oggetti di valore
sono stati venduti tutti oppure c’è rimasto qualcosa? Da quello che è stato
riferito c’è qualcosa che non quadra. I casi sono due: i Trosino e i
Contestabile non ricordano certi dettagli dell’asta oppure la Bernardeschi ci
vuol far credere che le sono rimasti altri oggetti di valore della vecchia casa
di famiglia. Ma ci può essere anche un terzo caso.»
L’aria del commissario si fece un po’ misteriosa.
«Un terzo caso?» chiedeva stupito Razzo.
«Sì, un terzo caso. Ma, badate bene, è solo una mia personalissima
ipotesi lontana, lontana lontana…»
«Ce la dica, non ci tenga sulle spine!» incalzava la vice.
«Il terzo caso è che la Bernardeschi poteva chiedere un prestito
per colmare i debiti.»
«Un prestito a una banca?» si affrettò a dire Bandino.
«Un prestito al marito?» chiese Razzo.
«Un prestito a uno strozzino?» sussurrò a mezza voce la vice, con
un bel sorriso sulle labbra.
«Quasi. Forse, un prestito a una strozzina!» rispose il
commissario.
Dicendo questo Cantagallo notò su una panchina delle pagine
ripiegate del quotidiano ”Il Corriere di Castronuovo”. La copia era del giorno.
Il commissario la prese in mano, guardò la prima pagina e poi la mostrò ai suoi
uomini. In prima pagina, il solito giornalista Battista Mazza, aveva dedicato
un articolo a sei colonne sull’omicidio della maga con un titolo mozzafiato.
«Vedete» continuava Cantagallo «anche i giornalisti inzuppano nel
passato poco limpido della maga.»
Razzo, il più stupito del gruppo, voleva andare a fondo sull’argomento.
«Ma come? La maga era una strozzina? Non ci posso credere! Mezza
Collitondi andava da lei per risolvere dei problemi di salute, dei guai
familiari e per avere dei numeri buoni da giocare al Lotto.»
«Calma, ho detto: forse. Il Lomonaco mi ha riferito che la maga
non era uno stinco di santo, truffava i suoi clienti e che, forse, prestava
soldi. Da qui a dire che prestava “a strozzo” del denaro ce ne vuole, ma non è
un’ipotesi da scartare. Vi ricordo, però, quello che la maga diceva nel suo
spazio pubblicitario televisivo. Ripeteva, fra le tante frasi, anche quella che
faceva più o meno così: “La maga Mimma mette a posto tutti i guai...”.»
Intanto la dottoressa Turchi stava riflettendo sulle considerazioni
del commissario. Non era stupita dall’ipotesi dello strozzinaggio, ma era
incredula sul fatto che le due donne, la signora Simona e la maga Mimma,
fossero venute in contatto. La cosa non le quadrava. Più ci pensava e più la
cosa non le tornava. Era visibilmente contrariata dall’ipotesi del commissario
a proposito del collegamento fra le due donne e glielo disse. Secondo la vice
la signora Bernardeschi non c’entrava nulla con quella maga ciarlatana. Le due
donne non potevano essere entrate in contatto perché erano troppo diverse tra
loro. La signora Simona, anche se fisicamente un po’ rude per il fisico da
palestrata, era una donna molto dolce e comprensiva. Insieme al marito si
dedicava a molte opere di beneficenza. Assisteva persone povere e bisognose.
Non si poteva definire una “dama di carità”, però si poteva descrivere come una
signora caritatevole. Questo lo poteva affermare tranquillamente dopo il
colloquio avuto con lei al commissariato.
«La signora Simona è una gran brava persona, glielo assicuro.»
«Ma che fa?! Tiene un’arringa difensiva della Bernardeschi?
Nessuno l’ha incolpata.»
«Mi deve scusare. A volte il “guanto di velluto” scappa e rimane
scoperto il “pugno di ferro”.»
La dottoressa Turchi aveva dei modi garbati ma inflessibili nel trattare
certe situazioni durante gli interrogatori. Talvolta i sistemi bruschi ma
efficaci dei colleghi Bandino e Razzo non andavano bene in certe situazioni, in
cui doveva essere sfoderata una certa diplomazia, nei modi di fare e di
parlare. Col tempo la vice era diventata la persona più adatta a gestire le
situazioni delicate. Nonostante questo si era guadagnata il soprannome
"Turca", ma nessuno dei colleghi la chiamava così.
«Certo, dottoressa» fece Razzo «a volte il suo soprannome le sta
proprio bene. Quando s’infervora, si arrabbia come una “turca”.»
E rimase ad osservarla dall’alto in basso e non a caso. Infatti le
figure di Razzo e della vice erano completamente diverse. Razzo era alto,
grosso, dalla stazza poco sotto il quintale, mentre la vice era bassa, normale,
con il fisico irrobustito dall’attività sportiva delle ferrate di montagna, di
cui era tanto appassionata. La vice era un “peperino”. Non ci stava alle prese
in giro di Razzo e replicò subito.
«Bravo, hai fatto la battuta! Ma resta il fatto che per me la
signora Bernardeschi non c’entra niente!»
«Sì, come la cannella di prima.»
Il commissario Cantagallo ricompose la faccenda. Voleva continuare
il discorso interrotto prima e si voleva sbrigare perché altrimenti avrebbero
fatto troppo tardi senza concludere nulla. Ripresero a camminare verso il
Campino per fare il “giro lungo” e ricominciarono a parlare. Poco più in là,
alla loro destra, oltre la coltre delle canne d’acqua, scorreva placido il
Marna lungo il suo corso. Lì quattro germani reali si erano guadagnati il
centro del fiume. Ogni tanto giravano il capo e facevano sentire un leggero
starnazzare. Si godevano quello spicchio di natura incontaminata che tanto
piaceva anche ai collitondesi per trascorrere in pace e all’aria aperta i
pomeriggi quotidiani. Anche l’occhio voleva la sua parte e la vista di quelle
acque tranquille rasserenava lo spirito di molte persone. Una lunga striscia
azzurra imperlata dai bagliori del sole che si insinuava nel verde dei dolci
pendii del letto del fiume. Intanto il più grande dei germani precedeva in
testa al gruppo mentre gli altri lo seguivano tranquilli scivolando sulle
fresche acque. Forse anche loro stavano facendo il “giro lungo”.
La passeggiata di quel pomeriggio terminò più tardi del solito.
Cantagallo e i suoi colleghi avevano fatto molti discorsi e ragionamenti a
proposito di quei delitti. Il commissario preferì non rientrare al
commissariato, quando giunsero in piazza Martiri Val Marna, prese la sua auto e
rientrò un po’ prima a casa. I lunghi colloqui di quel pomeriggio l’avevano
affaticato, forse anche per il caldo patito durante la camminata lungo il
fiume. Voleva cenare e riposare per almeno otto ore, le “sue” ore, per
recuperare le energie spese nella giornata.
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