Il filo di Arianna - Dodicesima e ultima parte
Nel frattempo i colleghi della squadra di Cantagallo si erano già piazzati nei locali al piano sotto terra delle cantine del condominio. Cantagallo e Baccio arrivarono appena in tempo per prendere posizione, estrarre le pistole e attendere. I locali erano estesi perché le cantine del palazzo erano molte e molti erano gli spazi condominiali. Sembrava di essere in un labirinto. Il buio della sera aiutava i poliziotti che si erano nascosti in certi anfratti scuri dei locali oppure all’interno delle cantine dei condomini che avevano accettato di collaborare con il commissariato. Tutti erano in attesa dell’arrivo del portiere.
Il Mucci non si fece aspettare. Il portiere, con una pila in mano, scese trafelato le scale che dal piano terra, dove c’era la guardiola, portavano nelle cantine e nei locali del sotto strada, dove c’erano i depositi dell’acqua, l’impianto di decalcificazione e altre stanze e stanzine che solo il Mucci doveva conoscere bene. L’ambiente non era ben illuminato e soprattutto di notte non si riuscivano a distinguere bene le porte dei vari locali. Il portiere accese la pila e incominciò a cercare i famosi pezzi di filo rosso lungo il percorso fino al posto in cui aveva nascosto la ragazza. La sua ricerca durò a lungo e ogni tanto controllava l’orologio per vedere quanto tempo mancava a mezzanotte. Nelle cantine c’era il più assoluto silenzio e il commissario sentiva solo i rumori del portiere che era agitato perché non riusciva a trovare il filo rosso. Cantagallo sentiva benissimo cosa diceva perché il Mucci parlava ad alta voce.
“Maledetta ragazzina” - sibilava il Mucci, con cattiveria. – “Dove avrà messo quei pezzi di filo rosso? Ho guardato dappertutto e niente. Faccio prima. Me lo faccio dire da lei e se non me lo dirà avrà quel che si merita”.
Cantagallo sentì il Mucci fare dei passi e dirigersi verso un locale al di là delle cantine. Il Mucci aprì una porta e accese una luce. Il portiere aveva percorso uno stretto corridoio ed era entrato nei locali dei depositi dell’acqua. Allora Cantagallo uscì dalla cantina in cui si era nascosto con Baccio e si guardò intorno per vedere dove fosse entrato il portiere. La luce accesa dal Mucci indicò al commissario dove andare. Il portiere trafficava con uno scaffale arrugginito e con delle vecchie tavole di legno. Lo scaffale e le tavole coprivano alla vista una porta di lamiera sporca che sembrava l’entrata di un altro locale o di un piccolo magazzino. La scaffalatura era polverosa e piena di ragnatele. Sopra c’erano anche dei vecchi palloni d’acciaio fuori uso che dovevano essere stati utilizzati nell’impianto idraulico. Dopo un po’ il Mucci aprì la porta, chiusa a chiave, entrò, accese la luce e accostò la porta. Su una sedia appoggiata al muro, di fronte alla porta, c’era Arianna legata e con la bocca chiusa dallo scotch marrone, come quello usato per chiudere le scatole di cartone. In un angolo dello stanzone c’era un gabinetto di fortuna. Dalla parte opposta, sopra un tavolo, avanzi di roba da mangiare e delle bottiglie d’acqua. Il resto del locale era squallido e sporco. La ragazza, impietrita, era terrorizzata dalla vista dell’uomo.
“Dov’è il filo, ragazzina? Non dire bugie, altrimenti è peggio per te” – sibilava di nuovo lui.
Arianna gli fece cenno con gli occhi e alzò un po’ la gamba destra per indicargli di guardare nella tasca dei pantaloni.
Il Mucci si fiondò su di lei e andò a colpo sicuro per prendere il rocchetto di filo rosso. Infilò la mano dentro la tasca, prese il rocchetto, strinse la mano e la tirò fuori. Si era impossessato della prova che lo avrebbe incolpato. Poi aprì la mano e trovò un’amara sorpresa.
“Ma questo che cos’è?” – esclamò lui, guardando il rocchetto di filo da imbastire. – “Doveva essere del filo rosso e non del filo bianco.” – La vista di quel filo sbagliato lo aveva fatto infuriare e incominciò a urlare. – “Tira fuori il filo rosso, ragazzina o ti faccio fare la stessa fine che ho fatto fare a quella ingrata di Franca che non voleva il mio amore! Presto! Tiralo fuori o ti ammazzo con le mie stesse mani!”.
A quel punto Cantagallo decise di intervenire. Spalancò la porta e spianò la pistola all’altezza della testa del Mucci. Baccio copriva da dietro il commissario, anche lui con la pistola spianata.
“Mucci, è tutto finito” – intimò Cantagallo, a muso duro. – “Si giri piano. Tenga le mani in alto e bene in vista. Se prova a fare il furbo, il collega le spara e le fa un buco nelle mani che se lo ricorda per un pezzo. Così non potrà nemmeno più leggere la Divina Commedia”.
Il portiere si voltò, era incredulo e non riusciva a capire il perché di quel discorso della Divina Commedia. Poi, il commissario e i poliziotti non dovevano nemmeno essere lì e a quell’ora.
Intanto erano arrivati gli altri colleghi che liberavano Arianna dalle corde e dallo scotch.
“Come ha fatto a scoprire della Divina Commedia?” – sibilò il Mucci.
“Ha fatto degli errori, Mucci. Si è fatto vedere troppo interessato alla lettura di quel libro. Ha insospettito i miei uomini che si erano spacciati per elettricisti dell’Enel e che erano lì per controllare la zona. I miei uomini mi hanno riferito il suo strano comportamento di leggere sempre lo stesso libro e di sottolinearlo, e questo mi ha insospettito. Un portiere di condominio, mi sono chiesto, perché deve leggere e sottolineare la Divina Commedia proprio nel canto dell’Inferno dove si parla dell’amore che non permette a chi è amato di non riamare?”.
“Amavo Franca, la desideravo, ma lei non ne voleva sapere del mio amore e così l’ho uccisa. La passione per quel canto dell’Inferno mi ha tradito”.
“Questo è stato uno dei suoi errori che ci ha aiutato a incastrarla. Non ero sicuro al cento per cento, ma è caduto nella trappola che le abbiamo teso. Arianna, invece, non ha fatto errori. Anzi, si è ricordata di quello che aveva studiato a scuola e ci ha lasciato delle tracce per ritrovarla”.
“Proprio così, commissario” – era Arianna che parlava con la sua voce squillante e felice. – “Mia nonna Piera, appassionata di mitologia greca, fin da piccola mi ha sempre ripetuto la storia di Arianna e Teseo, con la scusa che la mia mamma mi aveva chiamato con quel bel nome. Quando il portiere non vedeva, ne ho approfittato e ho arrotolato i pezzi di filo da imbastire per farmi ritrovare. Non ce l’ho fatta a lasciarlo nelle cantine perché era buio”.
Poi il commissario continuava a parlare al Mucci.
“Proprio così. Non ha nemmeno visto il filo di Arianna. Un filo da imbastire che si può spezzare facilmente con una mano e non come quest’altro filo rosso per cucire, che le ho fatto vedere in commissariato come falsa traccia che si non spezza facilmente. Come ha visto, non c’era altro filo arrotolato nelle cantine e in altri locali. C’è cascato e ci ha portato dove aveva nascosto la ragazza. Come vede, alla fine ha collaborato con la Polizia per ritrovare Arianna. Era proprio quello che voleva fare fin dall’inizio di questa indagine”.
Arianna accompagnata dalla vice uscì da quello stanzone.
Il Mucci seguì con lo sguardo l’uscita della ragazza e capì che era tutto finito. Lanciò un grido.
“NOOO! Non lasciatela andare!”.
Cantagallo si ricordava qualcos’altro di quel canto dell’Inferno e disse al Mucci.
“Lo saprà a memoria quel canto, vero Mucci? Allora, ascolti. Non impedir lo suo fatale andare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole…”.
Il Mucci era disperato e lo interruppe di nuovo.
“Maledetto! Maledetto! Avevo pensato a tutto, ma come ha fatto?”.
“…e più non dimandare” - concluse Cantagallo e fece segno ai suoi di portarlo via.
Il commissario guardò l’orologio, non era troppo tardi. Decise di fare una telefonata.
“Questore, buonasera. Scusi se la disturbo, ma si tratta della ragazza rapita”.
“Buonasera, Cantagallo. Vivaddio, ma le sembra questo il momento! La sua telefonata è un po’ inopportuna perché mi trovo al culmine della cena del ringraziamento. Ad ogni buon conto, dica pure, se si tratta di una cosa urgente”.
“Abbiamo liberato la ragazza rapita e arrestato il colpevole dell’omicidio della domestica. L’uomo è il portiere del condominio, Mucci Patrizio. Aveva rapito e nascosto la ragazza dopo aver ucciso la domestica. Il Mucci si era invaghito della donna, ma lei lo aveva rifiutato…”.
“Caro Cantagallo, lo vede che tutto torna. Lo vede che avevo ragione io. Vivaddio, d’altronde la soluzione del caso, a lei, l’avevo già fornita io stesso nel nostro incontro precedente. Come ha avuto modo di vedere, la mia ipotesi dell’omicidio maturato nell’ambiente della Tratta delle bianche era corretta. Quell’uomo voleva portarsi a letto la domestica e poi ha rapito la ragazza per soddisfare le sue voglie incontenibili. Allora…”.
“Scusi, Questore, ma che c’entra questa faccenda della Tratta delle bianche?”.
“Vivaddio, come che c’entra?! C’entra eccome, Cantagallo! Questo fatto basta e…” – la voce del Questore si sentiva poco e Cantagallo pensava che fosse di nuovo un problema di segnale con il suo telefonino.
“Questore, la sento poco. Forse c’è poco segnale, c’è poco campo…”.
“Campo?! Ma di che accidente di campo parla, Cantagallo! Un bel campo da arare ci vorrebbe a lei e a tutti quelli del suo commissariato. Spalle rubate all’agricoltura! Ecco cosa sono i suoi poliziotti”.
“Questore, non le permetto di…”.
“CANTAGALLO! Io mi permetto tutto quello che mi pare e non mi interrompa con i suoi modi campagnoli d’interloquire! Questo era un caso difficile in cui occorreva una mente investigativa a trecentosessanta gradi, un segugio del crimine, in parole povere, uno Sherlock Holmes di periferia. Invece, mi ritrovo lei, in parole povere, un Watson di campagna. Come vede, Cantagallo, ha fatto bene a venire da me. Ora la devo salutare...”.
Cantagallo non riuscì a stare zitto e replicò a modo suo al Questore.
“Bel colpo non ammazzò mai uccello. Buonanotte, Questore.” – fece stizzito Cantagallo e chiuse la telefonata.
“Bel colpo… che fece? CANTAGALLOOO?” – cercò di capire il Questore. – “Buonanotte!”.
Il commissario si congedò con il suo immancabile proverbio di fine colloquio. Il Questore non capiva mai il senso dei proverbi, come lui non capiva mai il significato delle frasi in latino.
Intanto Arianna era salita nella casa della nonna dove la stavano aspettando per abbracciarla i suoi genitori, la nonna e il suo ragazzo. Si fece una doccia e si mise degli abiti puliti per tornare a casa. Quando tutti furono fuori per strada, Stefano baciò Arianna e l’abbracciò di nuovo. Le fece segno di avvicinarsi perché le voleva farle vedere una cosa. Poi prese un pacchetto e lo dette alla ragazza. Arianna era sorpresa. Prese il pacchetto, lo guardò e lo scartò in silenzio. Dentro c’era un piccolo astuccio e lo aprì piano, piano. Non credeva ai suoi occhi.
Nell’astuccio c’era il braccialetto che aveva desiderato due giorni prima. La sua gioia era incontenibile. Guardò di nuovo Stefano negli occhi e lo baciò.
Poi Arianna si voltò, guardò per un attimo i suoi genitori e sorrise. Prese per mano Stefano e si avviò con lui lungo la strada che portava in paese.
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