Ma c'è una cosa che dovete sapere.
Il giallo è dedicato a una persona particolare, un uomo diventato cieco per una vicenda di malasanità. L’uomo, con l’ausilio di una speciale macchina per non vedenti, lesse il mio primo romanzo giallo "Dentro un vicolo cieco" (Lalli, 2007) e mi telefonò per dirmi che in quelle pagine “aveva rivisto il suo paese”. In quell’occasione mi raccontò la vicenda legata alla sua nuova condizione di persona non vedente. Le parole di quell’uomo mi sono rimaste impresse nella mente e alcune di quelle frasi sono state inserite nel giallo "Lo sguardo nel buio" per fare una riflessione sull’argomento.
Quello che segue è stato estratto dal giallo "Lo sguardo nel buio" pubblicato da Cristian Cavinato della Cavinato Editore International e lo trovate anche su IBS al link qui sotto
http://www.ibs.it/ebook/Marazzoli-Fabio/Lo-sguardo-nel/9788899121686.html
(...)
Mentre stava per prendere sulla sinistra la
strada in salita che lo avrebbe riportato verso il centro del paese, la voce di
un uomo lo bloccò.
«Commissario! Commissario Cantagallo!
Aspetti un attimo. Le devo parlare».
Cantagallo si voltò e vide che lo stava
chiamando l’uomo cieco che prima sedeva nella seconda fila. Tornò indietro sui
propri passi e gli si avvicinò.
Il cieco lo stava aspettando in piedi poco
fuori del bar, con la mano destra si teneva al bastone bianco e con l’altra si
appoggiava al muro esterno della struttura.
«Buongiorno» disse Cantagallo.
«Buongiorno, commissario» rispose l’altro.
L’uomo
aveva circa settanta anni ed era alto un po’ più del commissario. Fisico
asciutto, non robusto, con i capelli bianchi non troppo lunghi pettinati un po’
all’indietro, indossava un giubbotto grigio da mezza stagione. Era un uomo
distinto e curato nell’aspetto. Un paio di semplici occhiali neri e un bastone
bianco da cieco facevano capire la situazione di quell’uomo anziano.
«Le devo parlare, commissario. Mi chiamo
Faro, Faro Ceccarelli e non sono nato cieco, lo sono diventato per un fatto di
malasanità. Alcuni anni fa, l’errore di un dottorino durante l’intervento agli
occhi per una semplice cataratta provocò una terribile infezione che mi ha reso
cieco per tutta la vita. “Stia tranquillo, signor Ceccarelli, per l’operazione
alla cataratta. Oggi è diventata un’operazione ambulatoriale”, così mi aveva
detto quel dottorino che mi doveva operare. Quando è successo l’incidente agli
occhi ero da poco in pensione. Ero un impiegato di una filiale della banca MPR,
la banca della Maremma e del Piccolo Risparmio di Castronuovo. Aspettavo la
pensione come il momento per dedicarmi completamente alla famiglia. Poi, è successo
quello che è successo e la mia vita è cambiata».
«La capisco, signor Ceccarelli, e mi
dispiace, ma le indagini sulla malasanità non sono eseguite dal mio
commissariato. Dovrebbe rivolgersi…».
«Lo so, lo so, commissario» fece in modo
garbato il signor Ceccarelli, interrompendolo. «E mi scusi se l’ho interrotta.
Purtroppo, sono tutte cose che conosco. Sono passati ormai tanti anni da quando
è accaduto e ancora non è stato risolto nulla. La Giustizia, in questi casi, è
lenta a fare il suo corso e sono sempre in attesa del primo processo. Ma non
volevo parlarle di questo. Le volevo fare un discorso e poi dirle il vero
motivo per cui le ho chiesto di fermarsi».
La voce del signor Ceccarelli che prima era
forte e decisa, si era fatta debole e tremante. Fece una piccola pausa, per
trovare il coraggio di continuare a parlare. Cantagallo capiva che quel cieco
voleva dirgli qualcosa d’importante, sia per l’indagine sia per se stesso.
Forse il cieco voleva confidare a quel poliziotto un proprio pensiero che
teneva custodito da molto tempo. Quell’uomo cieco sentiva che quel semplice
poliziotto di paese era un brav’uomo. Un commissario capace di ascoltare la
gente, ma anche in grado di osservare e di comprendere le persone che aveva di
fronte a sé.
«Dica pure, signor Ceccarelli. Sono a sua
disposizione».
«Lei, commissario, è una brava persona.
L’ho capito subito quando l’ho sentita parlare. Persone come lei, ce ne sono
poche. Volevo trovare una persona come lei per raccontare questa cosa che tengo
dentro da tanto tempo. Io non ero cieco, lo sono diventato. Io vedevo e ora non
vedo più. E volevo dire alle altre persone, che vedono e che non sono cieche
come me, che anche da ciechi non si sta poi tanto male. A questo mondo ci sono
malattie molto più brutte, che ti tolgono l’uso delle gambe, delle braccia, del
cervello, che ti rubano gli affetti, che ti rubano la vita e non la vista. Ci
tenevo a dirlo perché in questo mondo di oggi, dove tanti valori della società
e della famiglia stanno scomparendo, occorre dire ai giovani le cose come
stanno. Occorre fare capire che un uomo cieco come me, se ha il sostegno della
propria famiglia e di amici veri, non ha niente da temere e niente gli può fare
paura. Non si deve aver paura di essere ciechi. La mia famiglia mi ha sempre dato
una mano e gli amici veri non mi hanno mai abbandonato, non mi hanno mai perso
di vista. Uno di questi era Beppe, come lo chiamavo io, il povero Giuseppe
Mecacci, che fin dal primo momento dell’incidente agli occhi mi era stato
accanto. Beppe mi era stato sempre vicino, dicendomi di non disperare. Mi
faceva forza e mi diceva di non mollare, soprattutto per mia moglie e i miei
figli. Lui, proprio lui, che cieco fin dalla nascita non aveva mai potuto
vedere la luce del sole, il colore del cielo, i riflessi del mare e nemmeno il
colore della notte. Sì, proprio così commissario Cantagallo, la notte ha un
proprio colore. Io le dico questo perché prima vedevo e dopo ho notato la
differenza che c’è fra il buio totale che accompagna un cieco nella sua vita e
l’oscurità che avvolge un luogo a notte fonda. Le sembrerà strano, commissario,
ma il buio che vede un cieco è diverso dall’oscurità che una persona normale
può osservare nella notte. Il mio amico mi diceva che sarei riuscito a vedere
oltre quel buio fitto che mi avrebbe circondato per il resto della mia vita,
che avrei visto dove altri, non ciechi come me, non avrebbero mai potuto o
voluto vedere. E così è stato. Questa è la mia storia, commissario, e questo è
quello che volevo dirle prima di parlarle di quella sera maledetta».
Cantagallo aveva ascoltato attentamente le
parole di quell’uomo. Parole che manifestavano una grande tristezza per la
condizione di una persona che era diventata cieca per un errore di malasanità.
Parole che dovevano essere d’esempio per tutti quelli che, non ciechi come lui,
erano insoddisfatti della loro vita di tutti i giorni e che si lamentavano di condurre
una vita normale fatta di cose semplici, come semplice era il fatto di vedere.
«Non volevo rattristarla troppo,
commissario. Ma ci tenevo perché lei lo sapesse. Ora le devo dire quello che è
successo la sera in cui è stato ucciso Beppe».
Il signor Ceccarelli fece una piccola pausa
come per prendere fiato, ma si vedeva che era emozionato.
«Io quella sera ero lì, vicino a lui, ma
non ho potuto fare niente per aiutarlo. Non potevo sapere che l’uomo che era
stato aggredito nella strada fosse lui. L’ho saputo il giorno dopo quando mia
moglie mi ha letto il giornale. Sono arrivato troppo tardi e per lui non c’era
più niente da fare. Ho avuto paura di essere ucciso anch’io se avessi parlato
alla Polizia. Oggi, però, sentendo le sue parole, mi sono deciso di parlare».
«Mi dica tutto quello che sa».
«Martedì sera, come tutte le sere, rientravo a casa dal Centro Anziani. Qualcuno mi ha aiutato ad
attraversare la strada e poi ho preso la stradina in salita sulla sinistra che
porta verso il paese. In via Garibaldi mi aspettava mia moglie e con lei a braccetto
sarei ritornato a casa a piedi. Anche se sono cieco le strade le conosco bene e
non ho paura ad arrivare da solo fino a via Garibaldi. Quella sera, però,
quando camminavo lungo una strada vicino a via Maestra ho sentito delle voci e
dei rumori provenire dalla mia destra. Mi ricordavo che in quel punto la strada
si apre su un’altra stradina più stretta e buia che prima gira a destra e poi a
sinistra in una viuzza più lunga senza sfondo. Mi avvicinai per capire meglio
quello che succedeva. Mentre mi avvicinavo i rumori non si sentivano più e
riuscivo a distinguere solo una voce. Quando mi resi conto che il fatto
accadeva nella viuzza senza sfondo, non ho avuto il coraggio di proseguire.
Sono stato un vigliacco e ho avuto paura di morire. Mi sono nascosto dentro
l’antro di un portone sperando che il buio mi proteggesse. In quei pochi minuti
che sono rimasto lì nascosto, ho sentito solo una voce sgradevole che ha detto
questa precisa frase...
(...)