In un appuntamento fuori programma, vi propongo un (mini)racconto che ho scritto in occasione di una iniziativa "Racconta il tuo museo" indetta da una importante Casa Editrice italiana. La Casa Editrice in questione, nell'occasione della pubblicazione di una sua opera relativa ai racconti di grandi scrittori su vari musei del mondo, aveva indetto nel novembre 2019 una sorta di concorso fra i lettori. I lettori dovevano raccontare una visita al loro museo preferito,
a quello che li aveva più attratto o affascinato, che aveva colpito la loro
immaginazione al punto da lasciarsi andare ad una narrazione
accattivante, una descrizione fantasiosa e incantata che inviti altri
lettori a mettersi in viaggio, a visitare sale e gallerie, ad aprirsi
ancora una volta alla scoperta del mondo, come si leggeva sul loro sito internet. Il mio racconto è stato incentrato sulla figura di Leonardo da Vinci, in un racconto simpatico e divertente, seppure surreale, che è stato ambientato al Museo delle Gallerie dell'Accademia di Venezia. Però il mio racconto ha avuto poca fortuna e oggi a concorso chiuso, ve lo faccio leggere anche a voi.
Questo è quanto.
Questo è quanto.
Buona lettura.
Museo:
Gallerie dell'Accademia, Venezia
Titolo:
Il quarto uomo
Racconto:
Un certo giorno nel palazzo
delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, nell’ufficio del direttore del museo rimbombavano
le voci di una discussione fra due uomini per colpa di un terzo uomo. Il primo,
distinto, occhiali, capelli brizzolati all’indietro un po’ spettinati, stava
seduto dietro la scrivania, senz’altro il direttore. Il secondo, austero, importante
barba bianca, veste scura di broccato con un tabarro da viaggio in tinta, un
cappello morbido ben calzato, era in piedi davanti alla scrivania, senza dubbio
Leonardo da Vinci.
-Direttore Limoncello, mi
ero raccomandato.
-Maestro Leonardo, sono
sempre Marsala, glielo ripeto, direttore Marsala.
-Limoncello, Marsala, è sempre
liquore. E non cambiate argomento. Dovevate badare al mio
uomo, mi avevate dato la vostra parola.
-Certo che le avevo dato la
mia parola. Però le dissi anche, che se si fosse presentata l’occasione l’avrei
affidato in mani sicure.
-L’avete fatto uscire senza il
mio benestare.
-L’occasione era
irripetibile, il Louvre, andare a Parigi.
-E allora? Il mio uomo non
era mai stato a Parigi e poteva continuare benissimo a non andarci.
-Ma è andato con la
bravissima Vanessa, quella che cura il Gabinetto.
-Andiamo bene, se vi fidate
di una serva che vi pulisce bene il bagno…
-Maestro, c’è un grande
frainteso. Vanessa è la curatrice del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe del
museo.
-Ah! Ad ogni buon conto,
avete fatto una cosa maldestra. Quantomeno mi potevate avvertire.
-Ma se le mandai una
raccomandata.
-Ben sapete che non gradisco
favoritismi e raccomandazioni. E se alludete a quella damigella che si presentò
vestita come una rificolona con una lettera di raccomandazioni in mano...
-Doveva essere una postina
con la mia raccomandata.
-Una postona, vorrete dire,
era più larga che lunga e doveva avere anche dei problemi a deambulare perché
stava sopra a un ciclo con due ruote mosso da un motore. Bando alle ciance, il
mio uomo deve tornare a casa. È fragile, delicato e deve stare sempre al
chiuso.
Il direttore si alzò e aggirò la scrivania. Si
avvicinò all’artista come per confidargli qualcosa in gran segreto.
Leonardo si mise in guardia
e indietreggiò.
-Che fate, direttore
Maraschino, cospirate?
-Sono sempre Marsala,
Maestro, non Maraschino. E non cospiro, piuttosto confido. Il suo uomo, a dire
il vero, è sempre qui. Al Louvre non c’è l’ho mandato.
-Il mio uomo vitruviano non
si è mosso da qui?
-Sì, Maestro. Quei francesi
non l’avranno, né ora, né domani, né mai.
-Alla buon’ora! E al Louvre
cosa avete mandato?
-Si ricorda quando un
impiegato del museo le portò a far vedere quella pergamena?
-Certo che me lo ricordo. Fu
quando foste così cortese da farmi rivedere il disegno del mio uomo.
-La copia.
-La copia?!
-Sì. Gliela mandai a far vedere
e non si accorse di nulla. Ma era la copia. Se non se ne è accorto lei,
figuriamoci quei francesi. Ho fatto male?
-Ben fatto, altroché, ben
fatto. E ben fatta anche quella copia, di molto ben fatta.
-Confidenza per confidenza, Maestro Leonardo,
lei sa bene che sul disegno del suo uomo vitruviano rimane il mistero del
perché sia stato realizzato e del nome. Si è parlato di quel Vitruvio Pollione
architetto romano…
-Ciance, all’epoca non
sapevo leggere il latino di messer Vitruvio. Si era trattato semmai, ed è una
grande confidenza che vi faccio, di disegnare un bozzetto virile per una moneta
che non fu mai coniata. E per il bozzetto non ricevetti soldo alcuno dal tale
che l’aveva commissionato. Poi, sono passati gli anni e mi hanno copiato il
disegno, me l’hanno inciso su una moneta europea e, per giunta, neanche da
questi europei ho ricevuto un soldo che sia uno. Del nome vitruviano è presto
detto. Il bozzetto lo chiamai così perché disegnai pari pari il macellaio che
stava sotto casa che si nomava Vitruvio. Avete visto l’espressione del viso? Era
sempre imbufalito perché gli compravano solo il lesso. Poi la mi’ mamma c’ha ricamato
sopra…
-Una grande mamma, la
signora Caterina.
-Era lei che mi mandava a
giro con le vesti variopinte per farmi notare e vendere le mie opere.
-Ma tutto quello che si è
detto su di lei, delle sue, diciamo, manie?
-Tutte panzane inventate ad
arte dalla mi’ mamma per farmi prendere a corte e vendere i miei disegni che
con quel bianco e nero, diciamocela tutta, non erano proprio un granché. Lo
diceva sempre la mi’ mamma: “Leonardino, non puoi stare tutto il giorno al
tavolino a fare i disegnini in bianco e nero. Ci devi dare un po’ di colore,
disegnare delle belle damigelle che garbano all’omini, ecco!”.
-E lei dipinse La Gioconda.
-Che poi la storia che ha
messo in giro il Vasari che fosse la madonna Lisa Gherardini del Giocondo non è
per nulla vera.
-Non mi dica!
-Ve lo dico! Non voleva che
si sapesse che il su’ babbo mercante andava a donne. Imperciocché la damigella
quivi ritratta era la cortigiana Fiammetta, un poco truccata, ben nota al babbo
del Vasari, a cui ella dedicava le sue grazie a pago prima, e dopo passava dalla
mia bottega per puro sollazzo di esser ritratta.
-Quindi dopo 500 anni, più
che la Lisa del Giocondo sarebbe la Fiammetta del Vasari.
-Diciamolo ma non poniamolo
per scritto… – ed ebbe un sussulto di soprassalto.
-Che c’è Maestro?
-Mi sovvenivano le scritte
della pergamena con la copia del mio uomo. Quelle scritte non erano da destra a
sinistra come le scrivo io, ma al contrario, da sinistra a destra. L’avete fatto
copiare alla rovescia!
Il direttore sbarrò gli
occhi e sudò freddo. Poi fece una saggia considerazione e si tranquillizzò.
-Maestro, non tutto è
perduto. Sono francesi, l’italiano non lo capiscono!
-Ah-a! E se poi se ne
accorgono dei forestieri italiani?
-Dico a quelli del Louvre di
rigirare l’espositore.
-Ve la caverete per il rotto
della cuffia.
-L’importante è che non si
rompa l’espositore. Se si spacca, s’intravede leggerissimamente nella filigrana
della pergamena il timbro Made in China. La copia l’ha fatta un abilissimo
copista cinese e l’abbiamo pagato così poco che ci siamo scordati di camuffare
il timbro.
-A proposito di cinesi, ma il
dipinto La Vecchia che sostenete di
avere attribuito al dipintore Giorgione e che esponete in pompa magna nella
sala al primo piano, lo sapete che è una copia?
-Dice davvero?!
-Come è vero questo colloquio.
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