mercoledì 8 gennaio 2020

Il quarto uomo

In un appuntamento fuori programma, vi propongo un (mini)racconto che ho scritto in occasione di una iniziativa "Racconta il tuo museo" indetta da una importante Casa Editrice italiana. La Casa Editrice in questione, nell'occasione della pubblicazione di una sua opera relativa ai racconti di grandi scrittori su vari musei del mondo, aveva indetto nel novembre 2019 una sorta di concorso fra i lettori. I lettori dovevano raccontare una visita al loro museo preferito, a quello che li aveva più attratto o affascinato, che aveva colpito la loro immaginazione al punto da lasciarsi andare ad una narrazione accattivante, una descrizione fantasiosa e incantata che inviti altri lettori a mettersi in viaggio, a visitare sale e gallerie, ad aprirsi ancora una volta alla scoperta del mondo, come si leggeva sul loro sito internet. Il mio racconto è stato incentrato sulla figura di Leonardo da Vinci, in un racconto simpatico e divertente, seppure surreale, che è stato ambientato al Museo delle Gallerie dell'Accademia di Venezia. Però il mio racconto ha avuto poca fortuna e oggi a concorso chiuso, ve lo faccio leggere anche a voi. 
Questo è quanto. 

Buona lettura.  




Museo:               

Gallerie dell'Accademia, Venezia


Titolo:  
Il quarto uomo

Racconto:
    Un certo giorno nel palazzo delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, nell’ufficio del direttore del museo rimbombavano le voci di una discussione fra due uomini per colpa di un terzo uomo. Il primo, distinto, occhiali, capelli brizzolati all’indietro un po’ spettinati, stava seduto dietro la scrivania, senz’altro il direttore. Il secondo, austero, importante barba bianca, veste scura di broccato con un tabarro da viaggio in tinta, un cappello morbido ben calzato, era in piedi davanti alla scrivania, senza dubbio Leonardo da Vinci.
    -Direttore Limoncello, mi ero raccomandato.
    -Maestro Leonardo, sono sempre Marsala, glielo ripeto, direttore Marsala.
    -Limoncello, Marsala, è sempre liquore. E non cambiate argomento. Dovevate badare al mio uomo, mi avevate dato la vostra parola.
    -Certo che le avevo dato la mia parola. Però le dissi anche, che se si fosse presentata l’occasione l’avrei affidato in mani sicure.
    -L’avete fatto uscire senza il mio benestare.
    -L’occasione era irripetibile, il Louvre, andare a Parigi.
    -E allora? Il mio uomo non era mai stato a Parigi e poteva continuare benissimo a non andarci.
    -Ma è andato con la bravissima Vanessa, quella che cura il Gabinetto.
    -Andiamo bene, se vi fidate di una serva che vi pulisce bene il bagno…
    -Maestro, c’è un grande frainteso. Vanessa è la curatrice del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe del museo.
    -Ah! Ad ogni buon conto, avete fatto una cosa maldestra. Quantomeno mi potevate avvertire.
    -Ma se le mandai una raccomandata.
    -Ben sapete che non gradisco favoritismi e raccomandazioni. E se alludete a quella damigella che si presentò vestita come una rificolona con una lettera di raccomandazioni in mano...
    -Doveva essere una postina con la mia raccomandata.
    -Una postona, vorrete dire, era più larga che lunga e doveva avere anche dei problemi a deambulare perché stava sopra a un ciclo con due ruote mosso da un motore. Bando alle ciance, il mio uomo deve tornare a casa. È fragile, delicato e deve stare sempre al chiuso.
    Il direttore si alzò e aggirò la scrivania. Si avvicinò all’artista come per confidargli qualcosa in gran segreto.
    Leonardo si mise in guardia e indietreggiò.
    -Che fate, direttore Maraschino, cospirate?
    -Sono sempre Marsala, Maestro, non Maraschino. E non cospiro, piuttosto confido. Il suo uomo, a dire il vero, è sempre qui. Al Louvre non c’è l’ho mandato.
    -Il mio uomo vitruviano non si è mosso da qui?
    -Sì, Maestro. Quei francesi non l’avranno, né ora, né domani, né mai.
    -Alla buon’ora! E al Louvre cosa avete mandato?
    -Si ricorda quando un impiegato del museo le portò a far vedere quella pergamena?
    -Certo che me lo ricordo. Fu quando foste così cortese da farmi rivedere il disegno del mio uomo.
    -La copia.
    -La copia?! 
    -Sì. Gliela mandai a far vedere e non si accorse di nulla. Ma era la copia. Se non se ne è accorto lei, figuriamoci quei francesi. Ho fatto male?
    -Ben fatto, altroché, ben fatto. E ben fatta anche quella copia, di molto ben fatta.
    -Confidenza per confidenza, Maestro Leonardo, lei sa bene che sul disegno del suo uomo vitruviano rimane il mistero del perché sia stato realizzato e del nome. Si è parlato di quel Vitruvio Pollione architetto romano…  
    -Ciance, all’epoca non sapevo leggere il latino di messer Vitruvio. Si era trattato semmai, ed è una grande confidenza che vi faccio, di disegnare un bozzetto virile per una moneta che non fu mai coniata. E per il bozzetto non ricevetti soldo alcuno dal tale che l’aveva commissionato. Poi, sono passati gli anni e mi hanno copiato il disegno, me l’hanno inciso su una moneta europea e, per giunta, neanche da questi europei ho ricevuto un soldo che sia uno. Del nome vitruviano è presto detto. Il bozzetto lo chiamai così perché disegnai pari pari il macellaio che stava sotto casa che si nomava Vitruvio. Avete visto l’espressione del viso? Era sempre imbufalito perché gli compravano solo il lesso. Poi la mi’ mamma c’ha ricamato sopra…  
    -Una grande mamma, la signora Caterina.
    -Era lei che mi mandava a giro con le vesti variopinte per farmi notare e vendere le mie opere.
    -Ma tutto quello che si è detto su di lei, delle sue, diciamo, manie?
    -Tutte panzane inventate ad arte dalla mi’ mamma per farmi prendere a corte e vendere i miei disegni che con quel bianco e nero, diciamocela tutta, non erano proprio un granché. Lo diceva sempre la mi’ mamma: “Leonardino, non puoi stare tutto il giorno al tavolino a fare i disegnini in bianco e nero. Ci devi dare un po’ di colore, disegnare delle belle damigelle che garbano all’omini, ecco!”.
    -E lei dipinse La Gioconda.
    -Che poi la storia che ha messo in giro il Vasari che fosse la madonna Lisa Gherardini del Giocondo non è per nulla vera.
    -Non mi dica!
    -Ve lo dico! Non voleva che si sapesse che il su’ babbo mercante andava a donne. Imperciocché la damigella quivi ritratta era la cortigiana Fiammetta, un poco truccata, ben nota al babbo del Vasari, a cui ella dedicava le sue grazie a pago prima, e dopo passava dalla mia bottega per puro sollazzo di esser ritratta.
    -Quindi dopo 500 anni, più che la Lisa del Giocondo sarebbe la Fiammetta del Vasari.
    -Diciamolo ma non poniamolo per scritto… – ed ebbe un sussulto di soprassalto.
    -Che c’è Maestro?
    -Mi sovvenivano le scritte della pergamena con la copia del mio uomo. Quelle scritte non erano da destra a sinistra come le scrivo io, ma al contrario, da sinistra a destra. L’avete fatto copiare alla rovescia!
    Il direttore sbarrò gli occhi e sudò freddo. Poi fece una saggia considerazione e si tranquillizzò.
    -Maestro, non tutto è perduto. Sono francesi, l’italiano non lo capiscono!
    -Ah-a! E se poi se ne accorgono dei forestieri italiani?
    -Dico a quelli del Louvre di rigirare l’espositore.
    -Ve la caverete per il rotto della cuffia.
    -L’importante è che non si rompa l’espositore. Se si spacca, s’intravede leggerissimamente nella filigrana della pergamena il timbro Made in China. La copia l’ha fatta un abilissimo copista cinese e l’abbiamo pagato così poco che ci siamo scordati di camuffare il timbro.
    -A proposito di cinesi, ma il dipinto La Vecchia che sostenete di avere attribuito al dipintore Giorgione e che esponete in pompa magna nella sala al primo piano, lo sapete che è una copia?
    -Dice davvero?!
    -Come è vero questo colloquio. 






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