Quello che segue è stato estratto dal giallo "Lo sguardo nel buio" pubblicato da Cavinato Editore e lo trovate anche su Bookrepublic al link qui sotto
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(...)
La voce del signor
Ceccarelli che prima era forte e decisa, si era fatta debole e tremante. Fece
una piccola pausa, per trovare il coraggio di continuare a parlare. Cantagallo
capiva che quel cieco voleva dirgli qualcosa d’importante, sia per l’indagine sia
per se stesso. Forse il cieco voleva confidare a quel poliziotto un proprio
pensiero che teneva custodito da molto tempo. Quell’uomo cieco sentiva che quel
semplice poliziotto di paese era un brav’uomo. Un commissario capace di
ascoltare la gente, ma anche in grado di osservare e di comprendere le persone
che aveva di fronte a sé.
«Dica pure, signor
Ceccarelli. Sono a sua disposizione».
«Lei, commissario,
è una brava persona. L’ho capito subito
quando l’ho sentita
parlare. Persone come lei, ce ne sono poche. Volevo trovare una persona come
lei per raccontare questa cosa che tengo dentro da tanto tempo. Io non ero
cieco, lo sono diventato. Io vedevo e ora non vedo più. E volevo dire alle
altre persone, che vedono e che non sono cieche come me, che anche da ciechi
non si sta poi tanto male. A questo mondo ci sono malattie molto più brutte,
che ti tolgono l’uso delle gambe, delle braccia, del cervello, che ti rubano
gli affetti, che ti rubano la vita e non la vista. Ci tenevo a dirlo perché in
questo mondo di oggi, dove tanti valori della società e della famiglia stanno
scomparendo, occorre dire ai giovani le cose come stanno. Occorre fare capire
che un uomo cieco come me, se ha il sostegno della propria famiglia e di amici
veri, non ha niente da temere e niente gli può fare paura. Non si deve aver
paura di essere ciechi. La mia famiglia mi ha sempre dato una mano e gli amici
veri non mi hanno mai abbandonato, non mi hanno mai perso di vista. Uno di
questi era Beppe, come lo chiamavo io, il povero Giuseppe Mecacci, che fin dal
primo momento dell’incidente agli occhi mi era stato accanto. Beppe mi era
stato sempre vicino, dicendomi di non disperare. Mi faceva forza e mi diceva di
non mollare, soprattutto per mia moglie e i miei figli. Lui, proprio lui, che
cieco fin dalla nascita non aveva mai potuto vedere la luce del sole, il colore
del cielo, i riflessi del mare e nemmeno il colore della notte. Sì, proprio
così commissario
Cantagallo, la notte ha un proprio colore. Io le dico questo perché prima
vedevo e dopo ho notato la differenza che c’è fra il buio totale che accompagna
un cieco nella sua vita e l’oscurità che avvolge un luogo a notte fonda. Le
sembrerà strano, commissario, ma il buio che vede un cieco è diverso
dall’oscurità che una persona normale può osservare nella notte. Il mio amico
mi diceva che sarei riuscito a vedere oltre quel buio fitto che mi avrebbe
circondato per il resto della mia vita, che avrei visto dove altri, non ciechi
come me, non avrebbero mai potuto o voluto vedere. E così è stato. Questa è la
mia storia, commissario, e questo è quello che volevo dirle prima di parlarle
di quella sera maledetta».
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