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Buona lettura!
(...) dal giallo "Un vecchio tappeto persiano"
Fra i molti problemi che assillavano
Cantagallo, il primo posto era da assegnare a pari merito, ai due personaggi
che sedevano sulle poltrone più in alto della Questura di Castronuovo: il
Questore, Vittorio Fumi Zondadari detto Zorro, e il suo vicario, Raffaele
Bonadonna detto Garçia.
I due funzionari non si potevano vedere,
ma si scambiavano solo comunicazioni per necessità burocratiche, al telefono o
su carta. Perniciosi per natura, le loro caratteristiche impedivano ai due di
stare insieme. Nemmeno la colla universale li avrebbe potuti tenere
appiccicati.
In Questura erano in due uffici che si
trovavano alle due estremità opposte di un lungo e ampio corridoio,
rispettivamente uno a destra e l’altro a sinistra di tale andito.
Voci di “corridoio”, ovviamente, dicevano
che i due si sentivano solo per telefono e che s’incontravano solo in rarissime
occasioni o per sbaglio. Sembrava che si fossero accidentalmente urtati di
spalle mentre si trovavano all’angolo caffè. Mugugnarono a vicenda qualche
frase di circostanza, senza neanche voltarsi, e continuarono a sorseggiare il
loro caffè rientrando verso i rispettivi uffici.
Secondo il pensiero di Cantagallo, quel
corridoio era per i due funzionari come un grande mare: virtuale e limpido. Non
un mare torbido, ma bensì un grande bacino d’acqua trasparente e infido ai loro
maldestri tentativi di manipolare le vicende giudiziarie. Un mare dove la
corrente della rettitudine poteva travolgerli, dove loro non sapevano nuotare e
a malapena stavano a galla. Un mare dove speravano di poter vedere passare,
prima o poi, il cadavere del rispettivo dirimpettaio, come dice il saggio
cinese: “Siediti lungo la riva del fiume e aspetta. Vedrai passare il cadavere
del tuo nemico”. Di conseguenza, comunicavano a suon di circolari, messaggi urgenti e così via. Il vicario, su
precisa disposizione del Questore, gli forniva la propria “tesi investigativa”
di un crimine accaduto spedendogli dei bigliettini ad hoc. Il Questore li
leggeva ed esponeva quanto letto all’interlocutore di turno. Non gli
interessava risolvere i casi, piuttosto di liberarsene per pensare ai fatti
propri. Il lavoro del vicario era quello di “dire” quello che il Questore
doveva “fare”. E un vecchio proverbio cascava proprio a fagiolo: “Fra il dire e
il fare c’è di mezzo il mare”.
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