sabato 3 ottobre 2015

Cantagallo: fra l'incudine e il martello

Il commissario Cantagallo nelle sue indagini deve gestire i difficili rapporti con i suoi superiori della Questura di Castronuovo: il Questore e il vicario. Problemi sempre vecchi per gli atteggiamenti dei due burocrati e sempre nuovi per le diverse sfaccettature che ogni delitto accaduto racchiude. Comunque, l'unica certezza che ha Cantagallo è che quei due con le loro chicchiere non lo porteranno mai da nessuna parte, anzi. Proprio su questo fatto vi propongo un brano tratto dal giallo "Un vecchio tappeto persiano", che trovate anche su Feltrinelli
http://www.lafeltrinelli.it/ebook/marazzoli-fabio/un-vecchio-tappeto-persiano/9788899121303


Buona lettura!

(...) dal giallo "Un vecchio tappeto persiano"


Fra i molti problemi che assillavano Cantagallo, il primo posto era da assegnare a pari merito, ai due personaggi che sedevano sulle poltrone più in alto della Questura di Castronuovo: il Questore, Vittorio Fumi Zondadari detto Zorro, e il suo vicario, Raffaele Bonadonna detto Garçia.
I due funzionari non si potevano vedere, ma si scambiavano solo comunicazioni per necessità burocratiche, al telefono o su carta. Perniciosi per natura, le loro caratteristiche impedivano ai due di stare insieme. Nemmeno la colla universale li avrebbe potuti tenere appiccicati.
In Questura erano in due uffici che si trovavano alle due estremità opposte di un lungo e ampio corridoio, rispettivamente uno a destra e l’altro a sinistra di tale andito.
Voci di “corridoio”, ovviamente, dicevano che i due si sentivano solo per telefono e che s’incontravano solo in rarissime occasioni o per sbaglio. Sembrava che si fossero accidentalmente urtati di spalle mentre si trovavano all’angolo caffè. Mugugnarono a vicenda qualche frase di circostanza, senza neanche voltarsi, e continuarono a sorseggiare il loro caffè rientrando verso i rispettivi uffici.
Secondo il pensiero di Cantagallo, quel corridoio era per i due funzionari come un grande mare: virtuale e limpido. Non un mare torbido, ma bensì un grande bacino d’acqua trasparente e infido ai loro maldestri tentativi di manipolare le vicende giudiziarie. Un mare dove la corrente della rettitudine poteva travolgerli, dove loro non sapevano nuotare e a malapena stavano a galla. Un mare dove speravano di poter vedere passare, prima o poi, il cadavere del rispettivo dirimpettaio, come dice il saggio cinese: “Siediti lungo la riva del fiume e aspetta. Vedrai passare il cadavere del tuo nemico”. Di conseguenza, comunicavano a suon di circolari,  messaggi urgenti e così via. Il vicario, su precisa disposizione del Questore, gli forniva la propria “tesi investigativa” di un crimine accaduto spedendogli dei bigliettini ad hoc. Il Questore li leggeva ed esponeva quanto letto all’interlocutore di turno. Non gli interessava risolvere i casi, piuttosto di liberarsene per pensare ai fatti propri. Il lavoro del vicario era quello di “dire” quello che il Questore doveva “fare”. E un vecchio proverbio cascava proprio a fagiolo: “Fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”.

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