domenica 25 ottobre 2015

Il mercante e il poliziotto: Abdullah Hassan e Cantagallo

Nel giallo "Un vecchio tappeto persiano", il commissario Cantagallo incontra un personaggio particolare: il mercante iraniano di tappeti, Abdullah Hassan. Uomo carismatico, di babbo iraniano e mamma collitondese, che la piccola comunità iraniana di Collitondi aveva scelto come suo rappresentante per risolvere situazioni delicate e stabilire regole di buon vicinato con i paesani collitondesi. Personaggio molto riservato e cordiale al tempo stesso, che in un paio di occasioni era entrato in contatto con Cantagallo per testimoniare a favore di suoi connazionali che si erano trovati coinvolti loro malgrado in una vicenda in cui non c'entravano niente. Così i due, il mercante e il poliziotto, si erano conosciuti e apprezzati reciprocamente. Con le loro frequentazioni avevano avuto modo di appurare che tutti e due credevano nelle regole di una vita sana, tradizionale, nel rispetto reciproco, nell'educazione e nell'amore per la propria famiglia, senza mai perdere di vista il lavoro, come unica e vera virtù che nobilita l'uomo. L'incontro con Abdullah è necessario a Cantagallo perché vuole conoscere tutto ciò che c'è da sapere sui tappeti, in quanto un tappeto lasciato sul luogo del delitto non spiega la dinamica del furto e le ragioni di chi ha voluto che fossero rubati tanti oggetti di valore. Perché un bellissimo tappeto come quello, era stato rubato ma poi era stato lasciato nel furgone utilizzato dai ladri per fare il furto? Un bel dubbio per Cantagallo ma il mercante ha una bella risposta da fornirgli e il commissario vedrà aprirsi davanti a sè una nuova pista d'indagine per cercare il misterioso e inafferrabile colpevole del delitto.
Quello che segue è stato estratto dal giallo "Un vecchio tappeto persiano" pubblicato da Cavinato Editore e lo trovate anche su Bookrepublic al link qui sotto
https://www.bookrepublic.it/book/9788899121303-un-vecchio-tappeto-persiano/


(...)



Cantagallo sperava di ottenere qualche dritta dal commerciante di tappeti che già in altre occasioni gli era stato utile. Abdullah era nato e cresciuto a Collitondi, da babbo iraniano e mamma collitondese. Aveva il negozio vicinissimo al centro del paese, in una stradina parallela alla via Garibaldi. Amava definirsi “persiano” e con lo stesso stile orientale aveva arredato il negozio per renderlo particolare e accogliente. Ogni volta che entrava in quel negozio, gli sembrava di entrare in una bottega di un mercante persiano, direttamente in Iran. Abdullah aveva più o meno l’età del commissario, ma la sua corporatura era più robusta, con la carnagione olivastra dai caratteri somatici tipicamente iraniani e i capelli a spazzola bianchissimi. Una corta barba brizzolata gli incorniciava il viso, mentre un’ampia tunica bianca con pantaloni completava il personaggio. Con il passare degli anni, era diventato il riferimento della piccola comunità iraniana di Collitondi e il canale informativo preferenziale del commissario per quello che succedeva all’interno di quella comunità. Era un uomo carismatico dalla voce calda, suadente, molto particolare, con un tipico accento orientale. Quando il commissario parlava con lui sembrava che si creasse intorno a loro un’atmosfera misteriosa quasi magica. 
Nel giro di un quarto d’ora Cantagallo era lì.
La porta del negozio era sempre aperta in segno d’ospitalità, come diceva Abdullah. Non c’era nessun cliente. All’interno il “persiano” era seduto davanti alla sua inseparabile macchina per cucire. Osservava attentamente il bordo di un piccolo tappeto.
«Buonasera, Abdullah.»
«Angelo Cantagallo, buonasera» disse lui sorridendo e sollevando lo sguardo. «È tanto tempo che non vieni a fare una visita al tuo buon amico persiano. Entra, sei sempre il benvenuto nel mio modesto negozio» e gli fece segno di mettersi a sedere su una piccola sedia che aveva accanto a lui.
«Sono qui per servizio. Posso farti alcune domande?»
«Che domande vuoi fare al tuo amico persiano? Io sono un uomo perbene e un buon padre di famiglia. Non ho la coscienza sporca o la fedina penale sporca, come dici tu.»
«No, si tratta di certe informazioni su alcuni tappeti che sono stati rubati ieri notte in paese. Sono tappeti di valore, ma ce n’è uno di cui non so nulla. Ho già parlato con gli antiquari Pescatori e Cappelletti, ma mi hanno saputo dire poco. Allora ho pensato di venire da te per sapere qualcosa di più. Sei una persona che mi dà sempre dei consigli utili.»
«È sempre un piacere parlare con un amico. Anche tu dai a me sempre dei buoni consigli. Ricorda: i messaggi ricevuti dagli amici sono sempre di gran sostegno e guida nel lungo cammino della nostra vita. Dimmi cosa vuoi sapere.»
«Si tratta dei tappeti che sono segnati in questa lista. Poi vorrei sapere se sai qualcosa di questo in particolare di cui posso farti vedere solo la fotografia. Prima, però, parlami del significato del “tappeto”.»
Abdullah prese la lista, la foto del tappeto del maragià e incominciò a guardarle attentamente. Si soffermò molto nell’osservare il tappeto della foto. Poi andò a cercare un catalogo di tappeti, lo sfogliò, lo lesse e dopo avere annotato certe cose su un foglio bianco, si rimise a sedere pronto a rispondere a Cantagallo.
«Il motivo della tua visita è importante e delicato, come è molto delicato e importante l’argomento di cui mi chiedi di parlare.  Devi sapere che il tappeto ha un posto fondamentale nel mondo islamico. Il suo compito è impedire il contatto tra il suolo impuro e il fedele in preghiera.»
Abdullah raccontò che al tappeto non era mai stato riconosciuto il suo giusto valore, almeno in occidente. Qui era stato sempre considerato un ornamento della casa. Addirittura, molti confondevano il tappeto consumato con il tappeto antico. Molte persone credevano di avere comprato un tappeto antico solo perché era sciupato oppure perché era vecchio, e questo non era vero. Un brutto tappeto era un tappeto senz’anima e sarebbe rimasto così anche dopo cinquanta o cento anni, non sarebbe mai diventato un tappeto antico. Sarebbe rimasto solo un tappeto vecchio.
Il commissario era interessato all’argomento e giustificava il motivo della sua curiosità. Spiegava che in ogni indagine voleva capire il valore di certi indizi per stabilire se potevano essere importanti per scoprire la soluzione di un crimine. Per lui era di fondamentale importanza conoscere certi oggetti per interpretare il loro messaggio interiore e comprendere il loro vero significato. Ogni oggetto comunicava un messaggio che poteva essere utile per scoprire le tracce del colpevole e bastava solo interpretare correttamente questo messaggio per acciuffare l’autore di un delitto. Quello era il metodo che lui seguiva durante le indagini con la collaborazione dei suoi uomini. Abdullah lo ascoltava con attenzione. Comprendeva il ragionamento di Cantagallo e gli era chiaro il concetto.
«Ho capito quello che vuoi dire. Vuoi capire la natura più intima di un oggetto. Non solo nella sua sostanza ma anche nella sua essenza. Se non ho capito male, vuoi comprendere quello che un oggetto può comunicare.»
«Proprio così. Per me è molto meglio ascoltare e parlare, piuttosto che stare in silenzio. Se non sbaglio, c’è un antico detto orientale che dice qualcosa di simile.»
«Sì, è vero. Quel detto dice: “Non parlare se quello che devi dire non è meglio del silenzio”.»
«Allora parlami dei tappeti del furto. Parla lentamente, così posso prendere appunti.»
Cantagallo prese il taccuino e la penna portamine a punta fine, 0,7 per la precisione.
Abdullah alzò l’indice della mano destra e l’avvertì.
«Prima però ti devo parlare della “Regola d’Oro”.»
Un buon mercante doveva sempre ricordare tale regola. Alcuni
commercianti di tappeti occidentali le avevano trasformato il nome e l’avevano chiamata la “Regola delle quattro P”: Pelo, lo stato di conservazione dei peli del tessuto, Perimetro, il tappeto doveva avere le cimose e le testate originali, Policromia, tutti i colori dovevano essere naturali e Prezzo, che doveva essere giusto per il tipo di tappeto. Secondo alcuni mercanti orientali, e anche secondo Abdullah, a queste quattro P si doveva aggiungere una quinta P, la Poesia che era la più importante ed era la vera essenza spirituale.
«La Poesia è l’anima del tappeto, è qualcosa di impalpabile che fa scattare il meccanismo segreto per cui il tappeto “parla” a chi lo sa guardare, tenta di sedurlo e lo fa innamorare.»
-Senti, senti. Anche il tappeto “parla” a chi lo sa guardare e addirittura lo può fare innamorare! Non solo l’unico a essere convinto che gli oggetti sanno parlare a chi sa ascoltarli!- pensò Cantagallo soddisfatto.
Abdullah tornò a parlare dei tappeti della lista. Indicò che i Kashan erano dei tappeti di eccellente qualità, i Serapi erano di minore qualità e i Tabriz erano prodotti proprio a Tabriz, “città antica e incantata”. Poi parlò del tappeto della foto e fece notare che quello era solo un buon tappeto e nulla più. Non era dello stesso tipo di quelli della lista. Era un Isfahan Najafabad, Persia extra fine figurato. Non era un tappeto di grande valore. Il suo prezzo da nuovo poteva essere di mille euro ma anche meno. Era solo un vecchio tappeto persiano. Non sapeva altro. Cantagallo non volle approfittare oltre e prese la via dell’uscita.
 «Arrivederci, Abdullah. Grazie.»
«Arrivederci, Angelo. O come diciamo noi: “Be Omide Didar”. E poi ricordati anche di questo antico detto arabo: “Allunga il passo secondo la grandezza del tuo tappeto”.»
«Ne farò tesoro. “Be Omide Didar”.»

(...)

Nessun commento:

Posta un commento