Quello che segue è stato estratto dal giallo "Un vecchio tappeto persiano" pubblicato da Cavinato Editore e lo trovate anche su Bookrepublic al link qui sotto
https://www.bookrepublic.it/book/9788899121303-un-vecchio-tappeto-persiano/
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Cantagallo sperava di ottenere qualche dritta dal commerciante di
tappeti che già in altre occasioni gli era stato utile. Abdullah era nato e
cresciuto a Collitondi, da babbo iraniano e mamma collitondese. Aveva il
negozio vicinissimo al centro del paese, in una stradina parallela alla via
Garibaldi. Amava definirsi “persiano” e con lo stesso stile orientale aveva
arredato il negozio per renderlo particolare e accogliente. Ogni volta che
entrava in quel negozio, gli sembrava di entrare in una bottega di un mercante
persiano, direttamente in Iran. Abdullah aveva più o meno l’età del
commissario, ma la sua corporatura era più robusta, con la carnagione olivastra
dai caratteri somatici tipicamente iraniani e i capelli a spazzola
bianchissimi. Una corta barba brizzolata gli incorniciava il viso, mentre
un’ampia tunica bianca con pantaloni completava il personaggio. Con il passare
degli anni, era diventato il riferimento della piccola comunità iraniana di
Collitondi e il canale informativo preferenziale del commissario per quello che
succedeva all’interno di quella comunità. Era un uomo carismatico dalla voce
calda, suadente, molto particolare, con un tipico accento orientale. Quando il
commissario parlava con lui sembrava che si creasse intorno a loro un’atmosfera
misteriosa quasi magica.
Nel giro di un quarto d’ora Cantagallo era lì.
La porta del negozio era sempre aperta in segno d’ospitalità, come
diceva Abdullah. Non c’era nessun cliente. All’interno il “persiano” era seduto
davanti alla sua inseparabile macchina per cucire. Osservava attentamente il
bordo di un piccolo tappeto.
«Buonasera, Abdullah.»
«Angelo Cantagallo, buonasera» disse lui sorridendo e sollevando
lo sguardo. «È tanto tempo che non vieni a fare una visita al tuo buon amico
persiano. Entra, sei sempre il benvenuto nel mio modesto negozio» e gli fece
segno di mettersi a sedere su una piccola sedia che aveva accanto a lui.
«Sono qui per servizio. Posso farti alcune domande?»
«Che domande vuoi fare al tuo amico persiano? Io sono un uomo
perbene e un buon padre di famiglia. Non ho la coscienza sporca o la fedina
penale sporca, come dici tu.»
«No, si tratta di certe informazioni su alcuni tappeti che sono
stati rubati ieri notte in paese. Sono tappeti di valore, ma ce n’è uno di cui
non so nulla. Ho già parlato con gli antiquari Pescatori e Cappelletti, ma mi
hanno saputo dire poco. Allora ho pensato di venire da te per sapere qualcosa
di più. Sei una persona che mi dà sempre dei consigli utili.»
«È sempre un piacere parlare con un amico. Anche tu dai a me
sempre dei buoni consigli. Ricorda: i messaggi ricevuti dagli amici sono sempre
di gran sostegno e guida nel lungo cammino della nostra vita. Dimmi cosa vuoi
sapere.»
«Si tratta dei tappeti che sono segnati in questa lista. Poi
vorrei sapere se sai qualcosa di questo in particolare di cui posso farti
vedere solo la fotografia. Prima, però, parlami del significato del “tappeto”.»
Abdullah prese la lista, la foto del tappeto del maragià e
incominciò a guardarle attentamente. Si soffermò molto nell’osservare il
tappeto della foto. Poi andò a cercare un catalogo di tappeti, lo sfogliò, lo
lesse e dopo avere annotato certe cose su un foglio bianco, si rimise a sedere
pronto a rispondere a Cantagallo.
«Il motivo della tua visita è importante e delicato, come è molto
delicato e importante l’argomento di cui mi chiedi di parlare. Devi sapere che il tappeto ha un posto
fondamentale nel mondo islamico. Il suo compito è impedire il contatto tra il
suolo impuro e il fedele in preghiera.»
Abdullah raccontò che al tappeto non era mai stato riconosciuto il
suo giusto valore, almeno in occidente. Qui era stato sempre considerato un
ornamento della casa. Addirittura, molti confondevano il tappeto consumato con
il tappeto antico. Molte persone credevano di avere comprato un tappeto antico
solo perché era sciupato oppure perché era vecchio, e questo non era vero. Un
brutto tappeto era un tappeto senz’anima e sarebbe rimasto così anche dopo
cinquanta o cento anni, non sarebbe mai diventato un tappeto antico. Sarebbe
rimasto solo un tappeto vecchio.
Il commissario era interessato all’argomento e giustificava il
motivo della sua curiosità. Spiegava che in ogni indagine voleva capire il
valore di certi indizi per stabilire se potevano essere importanti per scoprire
la soluzione di un crimine. Per lui era di fondamentale importanza conoscere
certi oggetti per interpretare il loro messaggio interiore e comprendere il
loro vero significato. Ogni oggetto comunicava un messaggio che poteva essere
utile per scoprire le tracce del colpevole e bastava solo interpretare
correttamente questo messaggio per acciuffare l’autore di un delitto. Quello
era il metodo che lui seguiva durante le indagini con la collaborazione dei
suoi uomini. Abdullah lo ascoltava con attenzione. Comprendeva il ragionamento
di Cantagallo e gli era chiaro il concetto.
«Ho capito quello che vuoi dire. Vuoi capire la natura più intima
di un oggetto. Non solo nella sua sostanza ma anche nella sua essenza. Se non
ho capito male, vuoi comprendere quello che un oggetto può comunicare.»
«Proprio così. Per me è molto meglio ascoltare e parlare,
piuttosto che stare in silenzio. Se non sbaglio, c’è un antico detto orientale
che dice qualcosa di simile.»
«Sì, è vero. Quel detto dice: “Non parlare se quello che devi dire
non è meglio del silenzio”.»
«Allora parlami dei tappeti del furto. Parla lentamente, così
posso prendere appunti.»
Cantagallo prese il taccuino e la penna portamine a punta fine,
0,7 per la precisione.
Abdullah alzò l’indice della mano destra e l’avvertì.
«Prima però ti devo parlare della “Regola d’Oro”.»
Un buon mercante doveva sempre ricordare tale regola. Alcuni
commercianti di tappeti occidentali le avevano trasformato il nome
e l’avevano chiamata la “Regola delle quattro P”: Pelo, lo stato di
conservazione dei peli del tessuto, Perimetro, il tappeto doveva avere le
cimose e le testate originali, Policromia, tutti i colori dovevano essere
naturali e Prezzo, che doveva essere giusto per il tipo di tappeto. Secondo
alcuni mercanti orientali, e anche secondo Abdullah, a queste quattro P si
doveva aggiungere una quinta P, la Poesia che era la più importante ed era la vera
essenza spirituale.
«La Poesia è l’anima del tappeto, è qualcosa di impalpabile che fa
scattare il meccanismo segreto per cui il tappeto “parla” a chi lo sa guardare,
tenta di sedurlo e lo fa innamorare.»
-Senti, senti. Anche il tappeto “parla” a chi lo sa guardare e
addirittura lo può fare innamorare! Non solo l’unico a essere convinto che gli
oggetti sanno parlare a chi sa ascoltarli!- pensò Cantagallo soddisfatto.
Abdullah tornò a parlare dei tappeti della lista. Indicò che i
Kashan erano dei tappeti di eccellente qualità, i Serapi erano di minore
qualità e i Tabriz erano prodotti proprio a Tabriz, “città antica e incantata”.
Poi parlò del tappeto della foto e fece notare che quello era solo un buon
tappeto e nulla più. Non era dello stesso tipo di quelli della lista. Era un
Isfahan Najafabad, Persia extra fine figurato. Non era un tappeto di grande
valore. Il suo prezzo da nuovo poteva essere di mille euro ma anche meno. Era
solo un vecchio tappeto persiano. Non sapeva altro. Cantagallo non volle approfittare
oltre e prese la via dell’uscita.
«Arrivederci, Abdullah.
Grazie.»
«Arrivederci, Angelo. O come diciamo noi: “Be Omide Didar”. E poi
ricordati anche di questo antico detto arabo: “Allunga il passo secondo la
grandezza del tuo tappeto”.»
«Ne farò tesoro. “Be Omide Didar”.»
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