Nuovo appuntamento con la
proposta di lettura dei gialli dell’investigatore Tombolo. Per
chi lo avesse dimenticato, questo è un giallo della serie dei casi dell’investigatore
Tombolo ambientato a Spaccabellezze, in Toscana, che è stato pubblicato dalla LFA Publisher dal titolo “UNA FILASTROCCA DI CRIMINI E DELITTI”. In questo
caso l’investigatore Tombolo è alle prese con il delitto di una coppia di
cinesi trovati morti bruciati in un cassonetto e che trascina Tombolo dentro un
intreccio criminale dai contorni insidiosi e dai risvolti indecifrabili.
A un certo punto del giallo si presentarono all’agenzia
una coppia di persone. Erano i signori Della Vedova, una anziana coppia di
romani benestanti che avevano acquistato un bell’attico sul porto e che
passavano il periodo estivo in paese. I Della Vedova non li conosceva
personalmente ma sapeva benissimo chi fossero. Il marito, Flavio Della Vedova,
aveva poco meno di ottanta anni. Era grassoccio, basso, egocentrico,
indifferente a qualsiasi cosa succedesse, forse anche alla moglie. Aveva un
buffo parrucchino nero appiccicato fra i capelli brizzolati lisci e un
apparecchio acustico a tutti e due gli orecchi, per cui era sordo. La moglie si
chiamava Raffaella Del Sordo, guarda caso, ed era poco più giovane del marito.
Mingherlina e bassa di statura, con i capelli bianchi tirati all’indietro e
raccolti in una crocchia. Era una donna ricca, eccentrica fino all’esagerazione
e menefreghista delle altre persone per la sua grande disponibilità di soldi
che le davano la possibilità di fare qualsiasi cosa. Fece mente locale. Se la
signora Raffaella era disperata, era in arrivo una investigazione ben pagata.
Ripose alla svelta il casco e l’incerata nel bauletto. Poi andò incontro alla
signora. Il marito si era fermato qualche metro indietro, affaticato,
appoggiato con la mano al muro.
Ma su cosa deve investigare
l’investigatore Tombolo?
«Signora,
ora che si è calmata, parli pure. Mi dica il motivo per cui ha pensato di
rivolgersi alla mia agenzia investigativa.»
«Hanno
rapito i miei tre gattini.»
«I
suoi gattini?!»
«Ambarabà,
Ciccì, Coccò!»
«La
conosco anch’io la filastrocca, ma cosa c’entra?»
«Un
momento e glielo spiego. Ora le dico del ratto dei felini.»
«Il
ratto?! C’è anche un topo implicato in questa storia? Mi sono perso qualcosa?»
«No!
Ma che dice?! Il ratto ovverosia il rapimento, come il ratto delle sabine! Quel
ratto!»
Il marito sordo, disattento e
diciamolo pure rincoglionito, aveva capito tutta un’altra cosa.
«Raffaella, abbiamo un topone
nell’attico e il nostro derattizzatore è il dottor Tombolo? Ci costerà una
tombola!»
La moglie, indispettita dal poco
interesse del consorte sull’argomento, si lasciò andare e gli parlò in
dialetto romanesco.
«Ah, Flavio! Nun te ce mette pure te
a fa’ caciara che famo notte!» poi si ricompose e si rivolse a Tombolo. «Ora le
spiego tutto dal principio.»
I signori Della Vedova erano arrivati
in paese da un paio di settimane, accompagnati dal figlio che guidava l’auto e
dalla loro domestica filippina, di nome Pia Sonora, che si occupava delle
faccende di casa. Domenica mattina, si erano accorti che dei ladri si dovevano
essere introdotti nel loro appartamento che si trovava nel centro storico del
paese sul Lungomare Magellano, vicino alla piazza del Comune. I ladri non
avevano rubato gli oggetti di valore che si trovavano in casa ma avevano
rapito i loro tre gattini. I gattini si chiamavano come quelli della filastrocca
che la signora amava ripetere sempre da bambina quando faceva la conta:
“Ambarabà, Ciccì, Coccò”. Quindi avevano deciso di andare dai Carabinieri a
denunciare il rapimento, aggravato dal fatto che i gattini avevano al collo
tre collarini tempestati di brillanti, del valore di più di cinquemila euro
ognuno. La signora aveva portato a far vedere ai Carabinieri una foto con i tre
gattini. Avevano i collarini di brillanti al collo ed erano tutti neri con le
zampine bianche all’estremità. Il maresciallo Busonero era andato in
escandescenze e aveva risposto che loro si occupavano di rapimenti di persone e
di furti di oggetti che appartenevano alle persone. Per le bestie ci pensavano
quelli del WWF. Così avevano deciso di rivolgersi alla sua agenzia
investigativa.
«La mia domestica conosce bene le due
filippine che lavorano per le persone che sono venute qui da lei per i due
furti. Quindi ho pensato a lei per questo delicatissimo caso.»
«Signora, un caso delicatissimo è
pane per i miei denti, non c’è problema.»
«Però, un problema c’è.»
«Un altro animale rapito?»
«No, il fatto è che il Dottore si
ammalò.»
«In che senso, mi faccia capire. Il
veterinario dei gattini si è ammalato?»
«No, non mi sono spiegata. Il Dottore
è l’uomo che ci fa da casiere, diciamo così, del nostro attico. È il nostro
uomo di fiducia. Quando siamo via, ci controlla la casa, controlla la posta che
arriva, ci paga le bollette e così via. Tutte cose che la nostra domestica
filippina non sa fare perché non capisce bene l’italiano. La filippina ci
prepara da mangiare, tiene pulita la casa e basta. Tornando al nostro casiere,
si chiama Cesare, Cesare Dottore, ed è di origine laziale come noi. In questi
giorni ha preso una brutta influenza e se ne deve stare a letto.»
«E quindi?»
«E quindi, siccome noi stiamo via
qualche giorno per ritornare a Roma, Cesare non può guardarci l’attico e non
può tenersi in contatto con lei per sapere le novità sui gattini. La domestica
filippina rimane qui per guardare la casa ma non ci posso fare affidamento per
altre cose importanti. Le dico questo, perché né io né mio marito abbiamo il
telefonino, con tutte quelle onde magnetiche che ti fanno male alla testa.
Rientriamo in paese solo lunedì prossimo. Tenga la foto con i gattini!»
concluse ansiosa.
«Signora, non si preoccupi. Vada a
Roma tranquilla. La situazione mi sembra alquanto ingarbugliata e trovare i
tre gattini rapidamente non mi sembra una cosa semplice.»
«Ma, dottor Tombolo, bisogna agire
presto!»
«Calma e gesso, signora! Non sono
dottore, non sono del WWF e nemmeno un accalappia-gatti! Bisogna muovere certi
ingranaggi e prima di muoverli bisogna ungerli. Io non sono certo un pistone
che si diverte ad andare in su e in giù a vuoto nel carburatore.»
«Non ci sono problemi al carburatore
della nostra auto, Raffaella! Ma questo dottor Tombolo è anche un medico dei
motori?» si era di nuovo intromesso a sproposito il marito.
«Flavio, nun sta’ a interompe’! Quer
carburatore non c’entra manco pe’ niente! Te stai a sbajia’ come al solito!»
gli rispose la moglie che poi riprese a dire. «Prosegua e scusi tanto mio
marito.»
«Un primo anticipo di duemila euro
potrebbe coprire le prime spese ma visto che si tratta anche di prendere dei
rapitori sui generis, particolari, per così dire, le ferree regole di
questa agenzia mi impongono, purtroppo, di raddoppiare la cifra standard.
Quattromila euro mi sembra una cifra ragionevole per questo caso disperato del
ratto con furto.»
Il marito, al solito distratto e
sordo, sentendo la cifra s’inserì.
«Quattromila euro per scacciare un
topone? Non ti sembra un po’ caro, Raffaella?»
«A’ Flavio! Nun te sta’ a preoccupa’!
Co’ soldi tua, ce fai quel che te pare. Co’ soldi mia, ce fò quel che pare a
me. Lassamo perde’ che famo notte.»
Tombolo riprese in mano la situazione
perché temeva, nella confusione, di perdere l’anticipo.
«Un assegno, signora, è più sicuro e
la fattura la riceverà a casa.»
La
signora trafficò nella borsa. Tirò fuori un grande portafoglio da cui prese un
blocchetto di assegni. Prese una penna, scrisse la cifra su un assegno e lo
dette a Tombolo.
E
ricordatevi che nei casi dell’investigatore Tombolo, oltre il giallo c’è molto
di più. Quindi non perdere l’occasione per andare
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