sabato 10 dicembre 2016

Successe di giovedì! - L'investigatore Tombolo e la sua agenzia



Quel giovedì mattina, Marino Tombolo era andato all’agenzia prima del solito. Per quale ragione poi? Aveva come un vuoto di memoria. Colpa del caldo della nottata che l’aveva fatto dormire pochissimo e male? Sì, accadeva sempre così. Quando dormiva poco, gli ci voleva mezza mattinata per ricarburare e fare mente locale su quello che aveva da fare. Si sforzava ma non se lo ricordava proprio. Aveva fatto tutto di corsa, meccanicamente. La barba non aveva visto il rasoio perché lo vedeva, di regola e di sfuggita, la sera prima. Ma quella sera lì, per il gran caldo aveva saltato il turno. La faccia era uno schifo. Al bar sotto casa, il “Cannon d’oro”, aveva bevuto a malapena un caffè senza zucchero, per le rigide regole dietetiche di Rossella. Ma il resto era una meraviglia o quasi. Sfoggiava un completo di lino color burro, molto elegante ma molto sgualcito, visto che lo portava già da una settimana e c’aveva sudato dentro per rincorrere un borsaiolo al porto, con camicia in tinta e foulard fantasia in seta. 
Ma come mai aveva tutta quella fretta? 

Leggete qui sotto e lo saprete, forse.



"Aveva aperto alla svelta il cancelletto metallico a fisarmonica che proteggeva dai curiosi l’entrata dell’agenzia, una larga porta di vetro polveroso e alluminio anodizzato che si apriva in una sorta di sala d’aspetto che sembrava quella di un medico della mutua in cattive acque. Nel muro di fronte all’entrata, nel centro, c’era una porta anni 70 a due ante dipinta di bianco con i vetri bianchi stampati. Tutto era spolverato e in ordine, grazie alla sua amica Rossella che gli faceva da donna delle pulizie a tempo perso, ma la saletta sembrava fosse lì dalla notte dei tempi. Un divanetto verde marcio in similpelle, che aveva visto tempi migliori a sinistra della porta a vetri, due poltroncine scompagnate di vellutino giallo oro dai braccioli consumati che stavano davanti a un tavolinetto con sopra delle riviste rosa di almeno due anni prima - gliele rifilava Rossella così se si era perso qualche pettegolezzo lo leggeva ora - a destra della porta, due quadretti di improbabili paesaggi marini attaccati al muro sopra le poltroncine, erano l’arredamento di quella saletta deprimente due metri per tre. Attaccata al muro, sulla destra della porta a vetri, campeggiava una grande targa d’ottone rettangolare scintillante con la scritta a lettere cubitali: “TOMBOLO INVESTIGAZIONI”, di cui Marino andava fiero. Secondo lui, la targa dell’agenzia investigativa era fondamentale per convincere un cliente ad affidargli il caso da risolvere e ad allungargli un bell’anticipo.
    Si era imbambolato a fissare la targa. Ma perché gli era preso di aprire l’ufficio prima del solito? Niente. Non aveva nemmeno del lavoro arretrato da smaltire. Poi aprì la porta a vetri e si ricordò, o perlomeno gli sembrò di ricordare qualcosa.
    Quattro belle pile di fogli, buste, faldoni vari e cartelline con l’elastico se ne stavano piazzate sulla sua scrivania, come un monumento al “factotum ignoto”. Non si poteva permettere una segretaria e doveva sbrigarsi le faccende burocratiche da solo, senza averne la minima voglia. Era un po’ di tempo che si era messo in testa di sistemare le tante carte di lavoro che gli affollavano l’ufficio. Se non si ricordava male, la sera prima le aveva sistemate così per non farle cadere in terra ed erano già pronte per essere ordinate e archiviate. L’ordine non era una delle sue virtù, ma neanche gli interessava più di tanto. L’importante era risolvere i casi dei suoi clienti ed essere pagato. Tutte le altre formalità potevano attendere per Marino Tombolo, investigatore privato della pluripremiata agenzia investigativa “Tombolo Investigazioni”.
    Era davvero quella la ragione? Doveva riordinare le scartoffie? No, doveva essere qualcos’altro di più importante. Si mise a riflettere sulla faccenda, osservando l’arredo della stanza.
    Nell’ufficio c’erano delle scaffalature in legno fino al soffitto, a destra e a sinistra della porta a vetri, dove prendevano posto una moltitudine di libri, schedari, faldoni colorati, targhe di onorificenze, medaglie al merito e altri oggetti di provenienze dimenticate. A un metro e poco più dalla porta c’erano due sedie in legno scuro sopra un tappeto marrone chiaro Bukara e una scrivania scura di palissandro con panno verde, che Tombolo aveva comprato di terza mano da un robivecchi in paese. Quella sorta di stanzino allargato, tre metri per quattro, aveva il soffitto più basso di mezzo metro rispetto alla saletta d’aspetto e non aveva finestre. Questo per Tombolo era l’ideale perché creava l’atmosfera giusta dell’ambiente investigativo. Una lampada da tavolo ministeriale di vetro verde e ottone, che campeggiava alla sinistra della scrivania, con accanto un portacenere ricolmo di mozziconi di sigarette, completavano il quadro dell’investigatore privato. Non solo, anche il puzzo di fumo, che regnava perenne e incontrastato nell’ufficio, rendeva maggiormente l’idea del clima investigativo. Sopra la scrivania, attaccato al soffitto, c’era un ventilatore a pale con la luce incorporata, regalatogli da Rossella per rinfrescare l’ufficio. Marino però, spesso e volentieri, lo teneva spento perché, con il soffitto basso, quando lo accendeva, gli faceva andare dappertutto i mozziconi che teneva nel portacenere.
    Attaccò la giacchetta a un gancio porta-abiti che sporgeva da uno scaffale sulla destra. Poi da un cassetto della scrivania, prese un chupa chups al gusto “melon soda”. Quando doveva fare qualcosa d’importante, si metteva sempre in bocca un chupa chups al melone, che lo aiutava nella concentrazione. Anche perché, la sua bella Rossella gli aveva ordinato di ridurre le sigarette. Non poteva certo mettersi in bocca uno stecco legnoso alla liquirizia che dopo un po' sembrava un pezzo di stoppa! 
    Si decise e si mise a sedere alla scrivania.
    Prese il coraggio a due mani e incominciò a osservare i fogli che se ne stavano immobili davanti a lui come un plotone d’esecuzione.
    Non ce l’avrebbe fatta a sistemare quelle pratiche nemmeno sotto tortura.
    Poi accennò un movimento della mano per leggere meglio un carteggio, ma il bussare di una persona alla porta lo salvò. Appena in tempo. 
"



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