Buonasera e di nuovo buona domenica.
Secondo appuntamento domenicale per farvi leggere la prima parte del primo capitolo del secondo giallo della nuova serie dei gialli che nel 2017 sono stati pubblicati da Cristian Cavinato della Cavinato Editore International di Brescia. Questa è la presentazione del giallo "LA COLLANA DI AMBRA", un'inchiesta di mare che si svolge a Castiglioni Marina, località toscana nel litorale maremmano.
Il commissario Cantagallo, nell’inchiesta di mare del giallo “La collana di ambra”, è alle prese con la morte di una ragazza polacca che è stata trovata morta in uno stabilimento balneare lontano dal paese, alla Punta Sant’Andrea, sotto il “Forte della trappola”. Cantagallo si reca sul posto e controlla il cadavere della donna. Da ciò che ha visto, la morte per overdose è stata inscenata per camuffare un omicidio. Alla fine, il commissario Cantagallo ricostruirà le mosse dell’omicida. Un particolare fondamentale lo spingerà verso lo spietato criminale. Tutto questo però, non gli basterà. Dovrà giocare sporco per stanare l’assassino.
Ecco a voi la prima parte del primo capitolo del giallo.
Buona lettura.
Venerdì…
Quella mattina di metà luglio, il commissario Cantagallo e il figlio
Luigi, si erano messi in testa di andare a piedi, via spiaggia, fino agli
scogli della Punta Sant’Andrea. L’idea era stata del figlio che voleva fare la
passeggiata lunga. Era tanto che non ci andavano. Sant’Andrea era l’altro piccolo
promontorio di quella specie di baia che da lì si allungava per quasi quattro
chilometri fino alla Punta San Bartolomeo, quella più vicina a Castiglioni. Si affacciava
sull’isola d’Elba e dalla sommità, nelle belle giornate, si poteva scorgere in
lontananza anche la costa della Corsica. Sul promontorio non c’erano case di
privati ma solo un vecchio castello, il “Forte della Trappola”, che era stato
trasformato in agriturismo. Era un punto molto bello e suggestivo. Dal bagno
Rivabella, dove i Cantagallo avevano l’ombrellone, ci voleva almeno un’ora di
camminata. Il commissario non aveva voglia di beccarsi una botta di caldo ma non
si era opposto, anche perché una bella camminata non gli avrebbe fatto male. E
tanto più non voleva passare da vecchio con suo figlio, rifiutando la
passeggiata lunga, molto lunga, sul bagnasciuga.
Si armarono di cappelli con visiera e occhiali da sole. Il commissario
si armò anche di santa pazienza. Si misero in marcia. Luigi era interessato al “Forte”.
Tempo fa, il commissario gliene aveva parlato.
«È proprio bella, quella storia che mi hai raccontato a proposito del Forte».
«Sì, è anche interessante da un punto di vista storico».
«Non mi hai detto perché l’hanno chiamato “della Trappola”».
«Perché serviva come forte di avvistamento dei pirati saraceni che
facevano le loro scorrerie salpando dall’isola di Montecristo, che era la loro
base nel mare Tirreno. Il nome "Trappola" deriva dal fatto che, nella
piccola insenatura sotto il Forte, era possibile prendere in trappola le navi saracene
che vi si avventuravano per raggiungere di nascosto la costa. E nessuno dei
saraceni rimaneva vivo per raccontarlo».
Avevano superato la spiaggia con gli ombrelloni a pagamento e
percorrevano un lungo tratto di spiaggia libera. Il bello della spiaggia di
Castiglioni era che il litorale sabbioso, dopo una ventina di metri, si addentrava
nella vegetazione della macchia mediterranea, dove alti pini centenari
emergevano dal sottobosco che odorava di mirto, rosmarino e resine. Quella era
la Pineta di Carbonaia, con rari pini secolari molto brulli, che si continuava
nella Pineta del Granduca, con una larga e fitta schiera di pini centenari
molti folti, la quale si estendeva verdeggiante fino alla Punta Sant’Andrea.
Carbonaia aveva subìto molti incendi negli anni passati, era praticamente disabitata,
con la sola presenza di un campeggio vicino alla spiaggia, mentre quella del
Granduca era una zona residenziale privilegiata con ville faraoniche, residence
estivi e alberghi di lusso nelle zone più vicine al promontorio di Sant’Andrea.
Luigi si fermò un attimo a guardare le sporcizie accumulate sotto le
dune dalla mareggiata del giorno prima e, schifato, fece una considerazione.
«Oggi queste dune non credo che possano ancora nascondere i tesori depredati
dai pirati saraceni. Guarda quante schifezze ci sono».
«Semmai ci fossero, sarebbero
sepolti sotto tonnellate di sabbia».
«Oppure, si potrebbero trovare i gioielli più moderni persi dai turisti in
pochi centimetri di sabbia. Anelli, orecchini e collane da rivendere per fare
un po’ di soldi».
«Quand’eri piccolo, giocavi nella sabbia a soldatini e trovasti una
piccola collana d’argento e pietre dure che non era granché preziosa».
«Per trovare roba buona ci vorrebbe uno di quei metal detector della
Polizia Scientifica. Con quello sì che si farebbero i soldi».
«Basterebbe avere un po’ di fortuna, scoprire il posto giusto e si
potrebbe trovare qualcosa di prezioso ma non necessariamente sotto la sabbia».
«Col metal detector, però! Ne ho visto uno in vendita su internet per
poche centinaia di euro. Comunque, con uno di quelli della Polizia
Scientifica…».
«Luigi, io sono in ferie e tu sei in vacanza. Non nominiamo ancora il
nome della Polizia invano. Voglio godermi queste ferie in pace».
«Tanto, se c’è un morto, il tuo amico maresciallo Guerra ti chiama».
Il commissario si palpò il taschino dietro dei calzoncini.
«Eh, no! Nella fretta di fare la passeggiata, mi sono dimenticato il
telefonino all’ombrellone».
«Ma se ti ho visto! L’hai guardato e l’hai lasciato lì. Alla faccia di
quel grassone del maresciallo coi baffi!».
«E allora!? Oggi ho deciso di essere “irraggiungibile”! E quindi, cerca
di raggiungermi, se ce la fai. Via!».
E spiccò la corsa per distaccare il figlio.
Luigi lo raggiunse dopo cinque minuti, anche perché il commissario aveva
rallentato il ritmo. Con quel caldo, non era facile correre sulla sabbia.
«Babbo, cominci a invecchiare! Ti ho raggiunto!».
«Bravo! Hai un bello scatto anche tu! Ma, sull’asfalto, per acchiappare
i delinquenti sono imbattibile. Te l’ho detto di quella volta che per
rincorrere il rapinatore della gioielleria Belardinelli…».
«Ti scappò dal piede la scarpa che tirasti in testa al ladro facendolo
andare in terra!».
«Proprio così! Lo presi preciso in testa, mentre stava per aggrapparsi a
una rete per scavalcare una recinzione».
«Un colpo da maestro».
«Un colpo di culo, semmai».
Si fermarono un attimo a riprendere fiato. Erano vicino al punto dove la
spiaggia era interrotta dall’argine di scogli messi a protezione del greto di
un fiumiciattolo putrido d’alghe, che sbucava dalla vegetazione della pineta
per gettarsi in mare. Sull’argine, un
piccolo ponticello di ferro e legno fissato alla sommità degli scogli
permetteva di superare il fiumiciattolo per proseguire verso la Punta
Sant’Andrea.
A un tratto, Luigi sollevò lo sguardo e scrutò il mare: aveva visto
qualcosa, o meglio, qualcuno.
«Ci ha raggiunto anche il tuo amico».
«Il mio amico? Il mio amico chi?».
«Il tuo amico Guerra».
Il commissario si guardò alle spalle ma non vide nessuno.
Il figlio gli indicò un gommone motorizzato a largo, che si dirigeva
verso di loro. Alla guida c’era un uomo in divisa bianca della Guardia Costiera.
Accanto a lui c’era un uomo basso, grasso, con capelli e baffi neri in divisa
da carabiniere: il maresciallo Guerra. Il milite se ne stava in piedi, impettito
e a testa alta, come a sfidare gli spruzzi del natante. Se ne stava aggrappato a
una ciambella arancione di salvataggio, come se stringesse al petto una bella
donna. Sembrava Leonardo Di Caprio sulla prua del Titanic, ma la ciambella non
era Kate Winslet. Piano piano che si avvicinavano, il commissario vide che,
dietro il maresciallo Guerra, c’era un carabiniere seduto: il maresciallo
Tompetrini.
Cosa poteva essere successo per
far arrivare i due carabinieri via mare?
Dopo cinque minuti il gommone era già quasi a riva. Quello della Guardia
Costiera si avvicinò il più possibile. Spense il motore e distese una passerella
a un paio di metri dalla spiaggia. In quel punto, c’erano degli scogli
affioranti, arrotondati e bassi, che consentivano alla passerella di rimanere
fuori dall’acqua e ai carabinieri di arrivare fino al bagnasciuga. Guerra lasciò
la ciambella e si catapultò su quella specie di ponticello che lo avrebbe
riportato sulla terra ferma. Ciò nonostante, si era inzuppato scarpe, calze e i
calzoni fino ai ginocchi. Tompetrini lo seguiva, anche lui nelle medesime
condizioni. Quello della Guardia Costiera, rimase in attesa di ricevere ordini.
Guerra non era un uomo di mare, con tutti quei sobbalzi era sbiancato in
faccia e ansimava. Il maresciallo Tompetrini, invece, era nato in paese, nonostante
la mini crociera era tranquillo e rilassato. I due carabinieri erano molto
diversi sia per l’aspetto fisico che caratteriale. Fra il commissario e Tompetrini
c’era molta intesa, oltre a una simpatia reciproca, che non poteva dirsi
altrettanto con Guerra.
Tompetrini salutò cordiale.
«Buongiorno, commissario Cantagallo».
Guerra era molto agitato.
«Commissario, che tragedia!».
Il commissario squadrò i due carabinieri.
«Buongiorno a lei, Tompetrini». Poi spostò l’attenzione sull’altro. «Ma
che c’è, Guerra?!».
«Commissario, commissario, che tragedia!».
«Mi dica».
«Commissario, commissario, commissario…».
Cantagallo, a sentire la solita litania di Guerra si era spazientito e
voleva sapere cosa fosse successo. Così, iniziò la serie di botta e risposta
fra i due.
«Maresciallo, è una cosa urgente?».
«Urgente urgente, no. Quando mai, commissario!».
Cantagallo conosceva a mente le mosse di Guerra quando capitava un
delitto e, da come era partita la conversazione, immaginava che ci fossero guai
in vista. Ma continuava a recitare la sua parte.
«Allora, si può rimandare».
«Rimandare rimandare, nemmeno. Commissario, c’è scappato il morto. Anzi
la morta, però…».
«Però? Però che cosa, maresciallo?! Si spieghi!».
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