Come promesso, eccomi qua per raccontarvi cosa ci sia dietro questo giallo siciliano.
Quello
di cui oggi avete letto una parte del primo capitolo, è un omaggio a mio nonno che nei primi anni
del 1900 prestò servizio in Sicilia come maresciallo dei Carabinieri in
una Stazione di un piccolo paesino in provincia di Catania. Il ricordo
degli episodi in cui mio nonno fu protagonista in quell’epoca si è
tramandato attraverso i racconti di mio babbo Millo. Io li rievoco in
questo episodio per conservare la memoria delle persone che hanno fatto
parte della mia famiglia perché occorre mantenere sempre vivo il ricordo
di chi ci ha preceduto, di chi ci ha indicato la strada da seguire, di
chi ci ha insegnato a ricordare per non dimenticare. Altre strade
familiari mi hanno fatto conoscere questa splendida terra e talvolta mi
sento anch’io un po’ siciliano. Ma non basta conoscere delle parole siciliane e
ripetere delle frasi in dialetto per poterlo affermare, come non basta
aver messo piede sull’isola e aver mangiato i fichi d’india per
diventarlo perché da qualche parte ho letto che siciliani si nasce e non
lo si diventa. Ho letto anche che essere ospite in Sicilia, dove
l’ospitalità è sacra, è sicuramente la condizione migliore per godere di
un privilegio riservato a pochi. Proprio per questo il personaggio del
commissario Cantagallo, in punta di piedi, cerca ospitalità in questa
splendida terra, dove trova l’ambientazione questo giallo particolare.
Particolare perché ha preso origine da un fatto realmente accaduto a mio
nonno quando era carabiniere: ricevette un telegramma uguale a quello
menzionato nella storia. Per scrivere certi dialoghi in dialetto
‘nisseno’ ho fatto un po’ fatica, ma spero di esserci riuscito grazie
all’aiuto di mia moglie Lilla, una siciliana ‘doc’ originaria della
provincia di Caltanissetta. In questo racconto il commissario Cantagallo
trascorre le ferie di settembre in Sicilia. I Cantagallo scendono
abitualmente in Sicilia una volta all’anno per tornare al paese dove è
nata la moglie del commissario. I personaggi, quando conversano in
siciliano, parlano un dialetto nisseno tipico del paese di ‘Capobianco’,
dove è appunto nata Iolanda. In questo racconto mi sono cimentato nei
dialoghi in siciliano, solo per certi personaggi che non si sarebbero
potuti esprimere in altro modo e senza voler competere con altri autori
del genere giallo. Ho voluto così rendere un omaggio a un fazzoletto di
quella magnifica regione che onora l’Italia per le sue terre ricche di
valori, di tradizioni e di storia. Per questo all’inizio del racconto mi
sono soffermato sui mosaici della Villa del Casale a Piazza Armerina:
non potevo fare altrimenti. I mosaici di Villa del Casale sono stati
dichiarati ‘Patrimonio dell’umanità dell’Unesco’. Secondo me, non è
pensabile che un italiano voglia visitare un museo in capo al mondo solo
per vedere un quadro straniero famosissimo, senza avere visto prima gli
splendidi mosaici della Villa del Casale in Sicilia. Sempre per
ricordare certe tradizioni, i riferimenti storici del barone di Occhiolà
e della sua famiglia sono stati raccolti in alcuni documenti
disponibili nella rete internet. Anche qui il racconto trova la sua naturale collocazione in due piccoli
paesi inventati chiamati ‘Capobianco’ e ‘San Rocco Etneo’ situati nel
cuore della Sicilia.
Concludo con un proverbio siciliano che piacerebbe
anche al commissario Cantagallo per il personaggio del Calamera:
“Mistura, mitticcinni na visazza, falla comu la vua, sempri è cucuzza!”,
ovvero: “Se una persona ha un caratteraccio, puoi fare e dire
qualsiasi cosa, ma non c’è niente da fare!”.
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