Eccoci di nuovo qua in questo primo appuntamento del fine settimana per leggere un nuovo estratto dei gialli del commissario Cantagallo, pubblicati da Cristian Cavinato della Cavinato Editore International di Brescia.
Quello di oggi è un estratto del primo capitolo del giallo "La donna col medaglione", storia ambientata in un piccolo paese nel cuore della Sicilia dove il commissario Cantagallo trascorre con la famiglia le ferie di settembre di tanto in tanto. La moglie Iolanda in Sicilia ha sempre la casa dei suoi genitori in un piccolo paese, Capobianco, inerpicato su una collinetta da cui si può vedere, in lontananza e nelle belle giornate, la città di Caltanissetta. Per i Cantagallo quella è l'occasione per rivedere i luoghi d'infanzia della moglie per poi da lì per spostarsi per visitare altri posti incantevoli dell'isola siciliana. Quell'anno avevano scelto, fra gli altri, di visitare i famosi e splendidi mosaici a Piazza Armerina. Proprio qui il commissario Cantagallo fa il suo incontro foruito col maresciallo Bompensiere, paesano di Iolanda e comandante della Caserma dei Carabinieri a San Rocco Etneo, che gli dice che ha bisogno del suo aiuto per risolvere un caso di un delitto prima che sia chiuso d'ufficio dalla Procura di Catania. Dentro un'auto in un boschetto è stato trovato morto un bancario con un colpo di pistola alla testa che si pensa sia stato ucciso per un furto ad opera di delinquenti comuni oppure della mafia locale. Cantagallo crede poco all'ipotesi mafiosa e si mette alla ricerca di tracce che possano indirizzare l'indagine verso l'assassino.
La storia di questo giallo è puramente inventata ma è stata scritta per una ragione familiare ben precisa che vi spiegherò in un post successivo.
In questo estratto i Cantagallo sono in visita ai mosaici di Piazza Armerina e stanno seguendo un gruppo di turisti nel percorso obbligato e sopraelevato lungo le stanze della villa. Ascoltano quello che la guida dice ai turisti e poi fanno l'incontro col maresciallo Bompensiere.
Buona lettura a tutti voi.
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"Capitolo uno
(...)
«Al centro di questo splendido pavimento mosaicato sta il cosiddetto “Medaglione con Scena Erotica”. Contiene un festone di alloro dentro il quale una giovane donna, in abiti succinti e con il sedere a nudo, abbraccia voluttuosa un giovane uomo incoronato che tiene in mano un recipiente…».
«E bravo, Luigi!» esclamò Cantagallo vedendo il figlio che si spenzolava oltre la balaustra in ferro del percorso per vedere meglio i particolari del Medaglione. «Vedo che ti si è risvegliato l’interesse per i mosaici della Villa! E pensare che non volevi venirci».
«Non è vero, babbo!» rispose indispettito per essere stato colto sul fatto.
«Basta, Luigi!» lo redarguì Iolanda. «Falla finita. E non dire più “babbo”. “Bàbbo” in dialetto siciliano vuol dire scemo, babbeo. Quante volte te lo devo ripetere! In Sicilia lo devi chiamare papà!».
«Va bene! Ma ha iniziato lui!» e con l’indice puntava il babbo, “pardon”, il papà.
Il battibecco era arrivato all’orecchio della guida turistica che dava segni d’insofferenza. Quel chiacchiericcio la disturbava e apostrofò subito la famiglia casinara oppure “camurrìosa”, come dicevano da quelle parti.
«Signori! Continuamente a fare questa confusione?».
«Che ci posso fare? Mio figlio ha molto caldo!» replicò secca Iolanda con netto accento siciliano.
«Paesana siete?» chiese quella con aria di sufficienza e alzando il naso.
«Di Capobianco sono!» rispose decisa e fiera.
«Una mia amica, Rosa Paci, è paesana vostra. Ha una casa vicino alla piazza» rifece quella, ma con un tono più conciliante. «La conoscete?».
«No, mi dispiace. Mio marito è commissario di Polizia in continente!».
«Mih! Commissario in continente!».
«Precisamente!».
Commissario incontinente? Pensò Cantagallo, con una certa preoccupazione. Non aveva mai avuto problemi di quel tipo. Doveva aver capito male. Cantagallo aveva difficoltà a capire certe parole del dialetto siciliano, allo stesso modo di quando il Questore gli parlava in latino.
«Iolanda?! Ma cosa sta dicendo quella donna?» chiese scocciato.
Iolanda scosse la testa e gli fece segno di non badarci. Poi le venne in mente una cosa. Prese il telefonino dalla borsa e si mise a spippolare sulla tastiera.
«Che fai, Iolanda? A chi telefoni?» il commissario non capiva perché la moglie volesse telefonare con tutto quel ben di Dio di mosaici da vedere.
«Nulla, Angelo. Volevo mandare un messaggino a mia sorella per dirle che siamo qui. Ma quanto rompi! Guarda i mosaici, non sei venuto per questo?».
«Perché, tu no?».
«Io li ho già visti tante volte con la scuola quando ero piccola».
«Ma non hai studiato in Toscana?».
«Sì, ma le elementari le ho fatte al paese».
Il commissario lasciò perdere. Tanto le dispute familiari di ogni categoria le vinceva sempre la moglie.
Iolanda sopportava poco le “gite culturali” in percorsi obbligati e chiusi dentro musei, mostre e gallerie. Preferiva le opere d’arte “al naturale” da osservare standosene comodi all’aria aperta e quelle “naturali”, vere e proprie, da ammirare osservando i panorami che l’Italia ci offriva, a costo zero e senza orari. I suoi preferiti erano il colonnato del Bernini in piazza San Pietro a Roma e la spiaggia di Sottobomba, vicino a Portoferraio all‘Isola d’Elba.
Cantagallo invece poteva trasgredire quelle regole per ammirare delle opere d’arte che altrimenti non avrebbe potuto vedere all’aria aperta. In questo caso portava l’esempio della Gioconda di Leonardo da Vinci. Ma la moglie gli ribatteva: “E la Sfinge di Giza, la buttiamo via?”. E così doveva arrendersi. Anche quella volta non volle replicare: partiva battuto in partenza.
Ripresero a seguire la guida e dopo un po’, da sotto il percorso sopraelevato, sentirono una voce siciliana familiare all’indirizzo del poliziotto toscano.
«Commissario! Commissario Cantagallo! Qua sotto sono, dentro al fosso!».
Un maresciallo dei Carabinieri controllava alcuni lavori nella parte sottostante ai pavimenti mosaicati della Villa.
Cantagallo si spenzolò un po’ sulla destra e vide il suo amico maresciallo Rosario Bompensiere.
«Saro, buongiorno! Come mai da queste parti?».
«Buongiorno, Angelo. Qua sono per un controllo ordinatomi dalla Procura di Catania. Quest’anno arrivasti prima?».
«Sì, abbiamo anticipato di qualche giorno. Siamo arrivati ieri a Capobianco. È tanto che volevamo vedere i mosaici della Villa del Casale. Oggi non abbiamo azzeccato la giornata. Fa molto caldo».
«Dicesti giusto. Ma le settimane prima, più caldo fece! È una stagione fètusa!».
«Sarei passato a salutarti stasera. Luigi è sempre contento di stare insieme ai tuoi figli. Gioca bene con loro e si diverte, anche se è un po’ più grande».
«Angelo, sempre bambini sono. Iolanda dov’è?».
Iolanda era bassa di statura e, fra i pellegrini in gita, non si notava bene. Si fece largo fra le persone per avvicinarsi alla balaustra e vedere meglio chi stava di sotto.
«Saro! Saro! Sono qua!» fece subito lei, sorridendo nel sentire la voce del loro amico maresciallo e suo compaesano. «Fatti vedere Saro, che non ti vedo! Sono piccolina!».
Il maresciallo Bompensiere si tirò fuori dalla buca e si spostò verso il centro della stanza.
«Buongiorno, Iolanda bella!» e sorrise anche lui.
Poi si rivolse al commissario.
«A pranzo vi voglio a mangiare a casa mia».
«Grazie, Saro, ma non vorremmo disturbare».
«Nessun disturbo, anzi…» ma cambiò espressione.
«Che è successo?».
«Niente, Angelo» ma non lo disse in modo convinto.
«Saro, si vede lontano un chilometro che hai qualcosa da dirmi. Di che si tratta?».
«Un delitto, forse una rapina andata male. Un uomo morto ammazzato con due colpi di pistola nella schiena. Nessun testimone e niente arma del delitto. Ci giro intorno da più di due settimane. Non so che pista prendere».
«E ci voleva tanto a dirlo?».
«Non voglio che sprechi le ferie con la tua famiglia per lavorare con me».
«Falla finita. Me lo dici tutte le volte e tutte le volte te lo ripeto. Come mi sentirei io, se ti sapessi impelagato fino al collo in un’indagine mentre sono a godermi il sole? Dopo pranzo ne parliamo».
«Angelo, questo è parlare! San Calogero ti aiuta e la Madonna ti accompagna!».
Bompensiere era l’icona della felicità: il viso radioso del carabiniere era come quello di un cherubino in adorazione del citato Santo dalla carnagione scura.
«Saro, lasciamo stare Santi e Madonne!».
La faccia scura del poliziotto somigliava di più a quella di San Calogero. "
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